Istantanea Pier Vittorio Buffa

Crisi pilotata

Alcune cose, in questo momento, sembrano oggettivamente accertate.

La crisi che stiamo vivendo e' tra le più dure e difficili del dopoguerra.
Per uscirne serve uno sforzo comune e condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani e dal più' ampio schieramento politico-sociale.
L'attuale presidente del Consiglio costituisce, piaccia o no, un ostacolo a questo processo di aggregazione e condivisione. Per la sua storia, per i suoi conflitti di interesse, per le difficoltà che ha anche all'interno del proprio schieramento.
L'attuale presidente del Consiglio non ha nessuna intenzione di fare quello che una persona davvero preoccupata per il proprio paese farebbe. Salire al Quirinale, dimettersi perché' cosciente che serve una maggioranza più' ampia per affrontare la crisi, chiedere al Capo dello Stato di cercarla mettendosi a sua disposizione.

Come se ne esce?
Forse smettendola con dichiarazioni di principio e prove di forza e cercando, invece, di pilotare una crisi, un po' come si faceva fino agli anni Ottanta, quando c'erano la Democrazia cristiana, i socialisti, i repubblicani, i liberali...
Con sano pragmatismo pezzi di opposizione e maggioranza dovrebbero essere capaci di parlarsi e individuare una soluzione da prospettare al capo dello Stato dopo aver sfiduciato il governo.
Difficile, molto difficile. Ma ci sono altre strade?

La precondizione

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L'Espresso di questa settimana titola il servizio più importante "Tangenti rosse" . Copertina e sette pagine dedicate alla questione morale nel Pd, scoppiata soprattutto dopo il caso Penati. Un guardare dentro la sinistra che è nella tradizione del giornale  e che oggi suona più che mai come un forte monito.

Non si può pensare di contribuire in modo decisivo a "far cambiare il vento" se non si ha la forza di farlo cambiare dentro di sé. Se ci si candida, come il Partito democratico sta facendo, a guidare il vero rinnovamento che l'Italia aspetta da venti anni bisogna offrire agli italiani garanzie precise.

La prima, la più importante, chiamiamola pure la precondizione è che il Pd, e con lui la sinistra che si candida a guidare il paese, si "autopulisca". Venga varato un codice etico, un documento, un qualcosa che imponga a tutti rigide regole di comportamento che escludano in modo tassativo il tornaconto personale o di partito dalla vita politica. Chi lo cerca verrà automaticamente espulso, allontanato. E non sulla base di sentenze della magistratura ordinaria, ma sulla base del giudizio politico che lo stesso partito deve impegnarsi a dare del suo comportamento.

Un ragionamento qualunquistico? Forse.

Un'utopia? Si, è probabile.

Ma se in questo momento non si ha la forza di rovesciare davvero il tavolo non si conquista la fiducia delgi italiani e non si costruisce un buon futuro.

Il declino


Diciamolo sinceramente. Qualche senso ce l'ha immaginare, lungo lo stivale, qualche palazzo con fuori la bandiera italiana, dentro funzionari di governo e sportelli aperti ai cittadini. E' vero che ci sono le prefetture. Ma potrebbe essere un modo più diretto e semplice per avvicinare la cosa pubblica "romana" ai cittadini.

A Monza, però, è stato fatto tutt'altro. Una piccola operazione propagandistica mascherata da primo passo verso il decentramento.

Il decentramento vero è tutt'altra cosa. Alleggerire le strutture centrali di governo e dare forza alle Regioni. E non portare pezzi, o pezzetti, di ministero in giro per l'Italia.

Insomma, quella andata a scena a Monza mi sembra un'altra scenetta di un paese in declino.

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E poi vedere la foto di Bossi accanto a quella del presidente della Repubblica, fa sorridere più che inquietare.

Alto tradimento

Personalmente non ho mai ritenuto che lo stipendio dei parlamentari fosse un indice della moralità della politica. Ma quando stamattina ho letto qui quello che è successo nelle convulse ore dell'approvazione della manovra mi sono indignato. Non sorpreso, quello no. Ma indignato si, e anche arrabbiato.

Questa manovra va, in buona sostanza, dalla parte opposta a quanto promesso dal governo agli elettori. Mette le mani in tasca ai ceti più deboli, tocca le famiglie, la salute. Aumenta di fatto la pressione fiscale. E mentre tradiscono così le loro promesse cosa fanno? Con un trucchetto lasciano i loro stipendi belli intatti.

Non vale, proprio non vale. Se per queste cose valessel'alto tradimento, sarebbero colpevoli di alto tradimento.

L'opposizione, con Pierluigi Bersani in testa, ha promesso che cambierà queste norme ingiuste. Deve aggiungere un'altra promessa, senza tentennamenti: un po' di risorse per pareggiare i conti verranno anche dagli euro che toglierà dalle tasche dei parlamentari.

Bandiera e no

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Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, spiega, in una lunga intervista a Repubblica, l'astensione del suo partito sull'eliminazione dalla Costituzione delle Province. Argomenta che "il ruolo e la soppressione delle province fanno parte di un tema che si chiama riorganizzazione dello stato non del tema costi della politica". E che "Le nostre proposte sono di sopprimere o accorparle su scelta delle regioni. La proposta dell´Idv era una proposta puramente di bandiera".

Il ragionamento, da un punto di vista dei contenuti e della serietà, non fa una grinza. Quello che non torna è l'attribuzione di una valenza negativa al concetto di "proposta di bandiera".

Le bandiere servono, eccome. Nascono per tenere uniti gli eserciti e per incitarli alla battaglia. Servono oggi per indicare a tutti la strada che si vuol prendere.

Oggi il Partito democratico dovrebbe far capire che è capace di guidare il paese verso la vera Seconda Repubblica. Quella che dovrebbe trarre la propria forza dalle scelte della gente, da valori forti e condivisi, dalla messa al bando della politica intesa come privilegio.

Ecco, le province non saranno forse una decisiva chiave di volta, ma una loro soppressione-riorganizzazione sarebbe un passo importante nella giusta direzione.

Per questo sono una bandiera da tenere alta. E per questo il Pd ha sbagliato ad astenersi.

Una sana democrazia

E' stato amaro ieri ascoltare Beppe Grillo parlare di eroi mentre in val di Susa gruppi di violenti organizzati aggredivano polizia e carabinieri. Leggere questa mattina il suo blog ( "ho chiamato eroi i valsusini che manifestavano pacificamente, come fanno da anni, per il loro territorio. Sono il primo a condannare e a voler sapere chi sono i black bloc annunciati dai media da giorni. Li trovino, li arrestino") ha rimesso ordine e tolto un po' di amaro di bocca.

Un po' di amaro è per rimasto. Perché parlare di eroi e dittature come ha fatto Grillo evoca guerre ed evoca sangue, porta fuori dai binari di una sana democrazia.

Una sana democrazia non può tollerare la violenza. Deve combatterla e sconfiggerla. Non per fare "prove di dittatura" come ha detto Grillo, ma nel rispetto delle regole e della dignità delle persone, come hanno fatto in val di Susa poliziotti e carabinieri.

Una sana democrazia non ha bisogno di eroi. Ma di persone che sappiano portare avanti sino in fondo e in modo pacifico le proprie idee. Chi è contro la Tav ha diritto di dirlo e ripeterlo. Di manifestare. Di assillare governo e parlamentari perché rivedano le loro decisioni. Questo non è eroismo, solo legittimo esercizio del diritto al dissenso. E questo diritto, lo sappiamo bene, è il vero sale della demcrazia, di una sana democrazia

Una legge e una legge bavaglio

Intercettazioni. Certo che e' sbagliato renderle pubbliche quando sono irrilevanti ai fini dell'indagine e riguardano personaggi non coinvolti. Difficile sostenere il contrario. Bisogna solo stabilire se serve integrare le norme già esistenti e, se si, come.
E' invece insopportabile vedere un problema del genere diventare urgente, urgentissimo, quando un'inchiesta mette a nudo, anche grazie a intercettazioni, qualcosa che non piace a chi sta al governo. Per questo una qualunque legge discussa in un'atmosfera del genere, diventa, di fatto, una legge bavaglio.

La sinistra e la Lega

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Le ultime analisi di Renato Mannheimer dicono che un elettore della Lega su due e' scontento del governo. E la visione plastica di questo dato ce l'ha fornita il raduno di Pontida. Con i suoi cartelli, i suoi slogan, le sue urla e lo striscione che indicava Maroni come futuro presidente del Consiglio.
Bossi ha fatto Bossi ed e' difficile fare previsioni che abbiano senso.
Quella meta' di leghisti scontenti sono pero' una realta' di cui la sinistra deve tener conto. Non per fare patti con il diavolo, ma per fare politica.
Mi spiego. Il dieci per cento degli italiani che votano Lega non sono tutti secessionisti arrabbiati o razzisti all'ultimo stadio come certe dichiarazioni o stati d'animo vogliono far pensare.
Ci sono, e lo si sa bene, cittadini che chiedono cose elementari come la sicurezza e il lavoro, un fisco equo e una politica sana.
La sinistra parli soprattutto di cose come queste, trovi proposte chiare e condivise.
Se si fa politica e si parla alla gente i risultati, come si e' visto, arrivano.

Oggi ha vinto...

Sul mio tweetdeck, lo strumento che uso per seguire quel che accade in rete, è apparso pochi minuti fa un tweet, un messaggio, di una blogger, Elena Reverberi: "Indipendentemente da tutto, ciò che emerge dalle #elezioni e dal #referendum è che a vincere è la #rete. preghiamo che resti sempre libera".

Ecco, per il momento penso che questa sia una bella affermazione da sottoscrivere.

Insieme a un'altra: oggi ha vinto una bella Italia.

Questo in attesa, naturalmente, di capire cosa succederà nei prossimi giorni.

Mille passi avanti

Sì, ha ragione Massimo Gramellini quando scrive, sulla Stampa, che è "ufficialmente iniziata la campagna del centrosinistra per perdere le prossime elezioni". Lo scambio di battute poco gradevoli tra Vendola e Bersani mette tristezza, fa tornare indietro, sembra respingere la bella ventata dei ballottaggi.

Io non voglio dire chi ha ragione o chi preferisco. Non in questo momento.

Ma vorrei, anzi voglio, che nessun leader politico del centro sinistra disperda una sola stilla dell'energia raccolta il 30 maggio. Hanno un solo dovere, tutti insieme. Mettersi al servizio non del proprio partito ma di tutti coloro che vogliono cambiare ed entrare davvero in una Seconda Repubblica.

Un passo indietro, signori, per poi fare mille passi avanti

La mezzora di Prodi

Mezzora per gioire e poi al lavoro. Lo ha detto Romano Prodi dopo lo straordinario risultato elettorale di ieri 30 maggio. Un invito saggio e concreto che dovrebbero ascoltare tutti coloro che hanno festeggiato la vittoria. Dai leader di partito, agli eletti, ai semplici cittadini.

Solo così si potrà far diventare il 30 maggio 2011 un "inizio" e non un episodio. Il vero inizio del dopo partitismo, di una stagione in cui è la gente come noi a tracciare la rotta, con semplicità, cioè con una croce su una scheda, e con chiarezza.

Perché ieri, a ben guardare, non hanno vinto né il Pd né l'Idv, né Di Pietro né Bersani. Però tutti hanno concorso alla vittoria di candidati credibili che hanno avuto il merito di convincere i loro cittadini a dargli fiducia.

E non è una novità da poco.

Solidarietà a Berlusconi

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Sono solidale con Silvio Berlusconi, davvero.

Gli avrei dato una pacca sulla spalla, dicendogli non prendertela, se fossi stato accanto a lui a leggere le dichiarazioni di Daniela Melchiorre. Lui, il presidente del Consiglio, l'ha appena nominata sottosegretario. Era passata con la maggioranza e questo era, probabilmente, il premio pattuito.

Ma poi arriva il G8, la chiacchierata con Obama sui giudici italiani e la Melchiorre si accorge che il suo capo ce l'ha con i magistrati (lei ha persino indossato "con orgoglio e onore la toga"), denuncia le "inaccettabili volgarità del presidente del Consiglio" che definisce i magistrati "cancro da estirpare".

Suvvia signor ex sottosegretario, non è elegante accorgersi del livore di Berlusconi verso i giudici alla vigilia di un voto che potrebbe vederlo perdente. Lo ha sempre manifestato e per accorgersene bastava leggere qualche giornale o seguire uno dei tanti comizi televisivi.

E  lei, signor presidente del Consiglio, non se la prenda più di tanto. Queste cose, bisogna dargliene atto, le ha sempre dette e sostenute e capisco che si risenta non poco a leggere di simili dimissioni. Ma si prepari. Se nei prossimi giorni le cose non andranno, per lei, nel verso giusto, la Melchiorre sarà stata solo la prima. Lei, signor presidente, si faccia forza. Noi, spero tutti noi, guarderemo con il dovuto disprezzo chi salta giù da una carrozza con tanta disinvoltura.

Un foglio di carta e due colonne

Da ieri mi chiedo cosa direi a un cittadino milanese che avesse un po' di multe da pagare e fosse indeciso su chi votare domenica prossima. Perché la proposta che starebbe lanciando Letizia Moratti (cancellazione di tutte le multe) è di quelle capaci di spostare davvero i voti.

Gli direi di prendere un foglio di carta e, con una riga, dividerlo in due colonne.

A sinistra potrebbe mettere la somma totale delle multe che deve pagare, subito sotto il corrispettivo in ore di lavoro, sotto ancora a cosa dovrebbe rinunciare per compensare l'eventuale pagamento e quello che, al contrario, potrebbe fare con quei soldi.

A destra potrebbe invece elencare l'elenco di quelli che, per lui, sono i problemi di Milano, in ordine decrescente di importanza. Ad esempio: sicurezza, expo, integrazione, traffico...

Alla fine gli suggerirei di socchiudere gli occhi e guardare nel loro insieme le due colonne.

A meno che non abbia bucato cento rossi o violato l'ecopass per tutto l'inverno il nostro cittadino dovrebbe capire quanto il peso delle due colonne sia incommensurabile. Nella colonna di sinistra ci sono le piccole cose di ciascuno di noi. In quella di destra il futuro della sua città e dei suoi figli.

Per questo gli direi, sicuro che sia la cosa giusta: cancella la colonna di sinistra e decidi solo sulla base di quello che hai scritto nella colonna di destra. Così potrai dire a te stesso e a chi ti è vicino che non hai messo il tuo piccolo interesse personale davanti a quello della tua città. E che nessuno può comprare il tuo voto con un pugno di euro.

Il nuovo cittadino

Dice Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia e acceso sostenitore di Giuliano Pisapia. "In Italia tutto nasce e muore qui (a Milano ndr). Era successo con Mussolini, ora succede con Berlusconi". Al di là del paragone, che fa sicuramente storcere la bocca almeno alla metà degli italiani, è vero che molto altro è nato e morto a Milano.
Non so quale morte abbiano decretato le comunali milanesi. Forse hanno solo resa più evidente l'agonia di quello che viene definito il berlusconismo.
Una nascita però c'è stata. Vitale come tutte le nascite, ma bisognosa di cure. E' quella che ci si aspettava quasi venti anni fa, quando il sistema dei partiti venne spazzato via. E' la nascita di un cittadino che crede in se stesso e in quello che vede. Non in quello che gli viene detto e gli vien fatto credere.
Se oggi sta scegliendo un uomo di sinistra come Pisapia, tra cinque anni potrebbe scegliere un uomo ugualmente per bene e onesto, ma di destra, che sarà, come spero Pisapia diventi, sindaco di tutti milanesi.