Istantanea Pier Vittorio Buffa

La lezione di Cesira

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Ho passato un pomeriggio a casa di Cesira Pardini (nella foto), la donna che sfuggì all'eccidio di Sant'Anna di Stazzema salvando due sorelle e un bimbo appena nato. Le è stata da poco conferita, per quello che fece in quelle ore del 12 agosto 1944, la medaglia d'oro al merito civile.

Lei vive in una bella casa di Marina di Pietrasanta e ogni giorno, dalla finestra della camera da letto o dal giardino, guarda lassù, all'ossario di Sant'Anna, innalzato in memoria dei 560 che quel giorno vennero massacrati da soldati tedeschi. Per realizzare la statua alla base dell'ossario, una donna morta con in braccio una neonata, lo scultore Vincenzo Gasperetti si ispirò alla storia della mamma e della sorellina di Cesira, uccise dalle mitragliatrici.

Si entra in un altro mondo parlando con una donna così.

Non per quello che racconta, perché chi ha voluto ha gà letto tutto.

Ma per come lo racconta.

Per la calma dietro la quale ha imparato a mimetizzare un dolore mai sopito.

Per la commozione che emerge, composta, solo in alcuni, cruciali, momenti.

Per il pudore con cui ti accompagna là fuori, nel "punto da dove si vede lassù".

Quando esci dal mondo di Cesira Pardini, nata a Pietrasanta il 4 dicembre 1926, guardi anche tu lassù e te ne resti zitto per un bel po'.

Pensi alle condanne dei nazisti responsabili dei massacri che nessuno cerca di eseguire. A una giustizia che in pochi hanno voluto davvero. A generazioni di italiani, compresa la mia, che hanno quasi rimosso senza trarre da quei fatti alcuna forza.

E così te ne torni a casa senza voglia di discutere e scrivere delle cose di tutti i giorni.

Chi e cosa votare?

La questione non è se votare o no in autunno. La questione è chi e cosa votare.

Odio le generalizzazioni o fare, come si dice, di ogni erba un fascio. Ma oggi è veramente difficile fare dei distinguo: la sensazione, precisa e dolorosa, è che nessun partito sia stato finora in grado di delineare una proposta politica adeguata alla situazione.

Si discute molto delle alleanze prossime venture. Ma per fare cosa?

La legge elettorale sembra un ostacolo insormontabile perché tutti ne vorrebbero una in grado di non farli perdere.

I grandi temi sociali ed economici invece di stimolare una sana energia politica sembrano essere un potente anestetico che tutto addormenta e, alla fine, tutto uccide.

No, non vorrei proprio essere chiamato a votare in autunno.

Perché spero che un po' di tempo in più faccia vedere un filo di luce in fondo al tunnel e faccia rinascere qualche progetto politico condivisibile.

E perché per ora non vedo possibili alternative a Mario Monti e ai suoi ministri.

Dell'onestà

"Papà, temo di aver capito che in Italia essere onesti equivale a essere un po' coglioni". Lo ha detto il figlio a Roberto, uno dei più assidui frequentatori di questo blog. E io, dice Roberto, non ho saputo bene cosa rispondergli.

Provo a rispondere come se il figlio di Roberto fosse mio figlio, e invito tutti a fare lo stesso esercizio.

No, figlio mio, essere onesti non equivale a essere un po' coglioni. Perché essere onesti non vuol dire piegare la testa, ma saper vivere serenamente con se stessi e con gli altri. E non solo. Vuol dire anche tante altre cose, provo a dirti quelle che mi sembrano le più importanti.

Essere onesti vuol dire

saper rispettare gli altri, senza nessuna distinzione, rispettare le loro cose, i loro diritti, la loro persona, e pretendere lo stesso rispetto

saper essere cittadini che conoscono i propri diritti ma anche i propri doveri, e chiedono agli altri di essere altrettanto consapevoli

saper essere uomini (e donne) che non si fanno pecora e sanno combattere, con le armi che conoscono, per il bene della propria comunità.

saper ascoltare, ma anche fare il possibile per convincere gli altri della bontà delle proprie idee.

E poi tutto quello che sai, primo fra tutti quel "non rubare" che forse è all'origine dei tuoi dubbi. Se uno fa tutto questo, ma tanti altri esempi si potrebbero fare, penso possa definirsi una persona onesta.

Se, invece, stai in un angolo a lasciare che siano gli altri a decidere per te, allora forse il tuo parallelo potrebbe avere un senso. Solo che non saresti onesto, solo un po' coglione.

#nopareggio

L'intervento, chiaro e forte, del presidente della Repubblica per sollecitare i partiti a varare una nuova legge elettorale è uno di quegli eventi attesi che dovrebbe dare una certa serenità.
Forse questa volta si riesce davvero a mandare a casa il porcellum, ad avere una buona legge che dia stabilità di governo e possibilità di scelta reale dei parlamentari.
Così viene da pensare e sperare.
Ma c'è un rischio. Molto alto.
Il rischio pareggio.
L'appello di Napolitano è di quelli così secchi che difficilmente i partiti potranno ignorarlo portandoci a votare con il porcellum.
Ma se finora si sono persi in trattative inconcludenti è perché tutti, chi più chi meno, hanno in testa solo il proprio destino. E quindi vorrebbero una legge che li faccia vincere, o che almeno non faccia vincere troppo l'avversario, che lasci ai margini Grillo, che dia alla Lega ma senza esagerare, che faccia scegliere ai cittadini, ma fino a un certo punto.
Ecco, questo è il rischio pareggio. Il rischio cioè che Pd, Pdl e Udc, i tre partiti che hanno in mano le carte principali di questa partita ci regalino una legge peggiore, se possibile, del porcellum.
Una legge cioè incapace di fare uscire dalle urne una maggioranza stabile con numeri sufficienti a governare per il tempo di una legislatura.
E' un rischio altissimo. Gli elettori continuerebbero a non contare niente e i partiti si ritroverebbero tra le mani un inutile potere di trattativa per formare fragili coalizioni. Prospettive che mettono paura.
Per questo diciamo chiaro e forte #nopareggio.

La cosa più bella

Siamo nei minuti di recupero di Spagna-Italia, la partita non ha più nulla da dire, ogni secondo è una sofferenza per gli azzurri. Il portiere della Spagna lo sa e lo vede. Chiama l'arbitro gli chiede rispetto per i rivali, rispetto per l'Italia. L'arbitro fischia la fine, Casillas lo ringrazia.
Questa è la cosa più bella accaduta agli Europei di calcio.

Quello che non dovrebbe accadere

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Sta accadendo qualcosa che non dovrebbe accadere.
Quattro poliziotti sono stati condannati, definitivamente, per l'omicidio colposo di Federico Aldrovandi. L'indulto gli ha evitato il carcere e adesso dovrebbero scattare i provvedimenti disciplinari.

Ma nel frattempo i quattro non se ne stanno zitti cercando di farsi dimenticare. Uno di loro insulta, minaccia. E contesta la sentenza, dice che lui non ha ucciso nessuno.

Ecco, quello che non dovrebbe accadere è tutto qui. Non tanto che quest'uomo dica le cose orrende che pensa.
Ma che indossi ancora una divisa e porti un'arma. Che sia ancora una persona a cui lo Stato consente di agire in proprio nome.
Questo non dovrebbe proprio accadere. Non da domani. Da adesso

(Nella foto Lino Aldrovandi, padre di Federico Aldrovandi, all'uscita del Palazzaccio dopo la sentenza della Cassazione, 21 giugno 2012 a Roma)

Boccata di ossigeno

E' una di quelle notizie che fanno respirare bene, che danno una boccata di ossigeno.

Le associazioni hanno risposto al Partito democratico, hanno designato Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo per il consiglio di amministrazione della Rai e il partito si è impegnato a sostenerli. E' quindi assai probabile che i due siederanno al vertice di viale Mazzini.

Quello che riusciranno a fare lo si vedrà ma la loro designazione arriva in un momento in cui davvero bisognava battere un colpo, far capire che la politica non è fatta solo di trattative e scambi, piccoli interessi e meschine rivalse. Il Partito democratico lo ha fatto e ci fa prendere questa bella boccata di ossigeno, una boccata di politica come dovrebbe essere, di capacità di guardare oltre l'interesse particolare.

Ma solo di boccata si tratta, non di ossigeno che si libera nell'aria dando a tutti vigore serenità. I colpi da battere sono ancora molti, anche senza parlare del problema dei problemi, la crisi economica.

Il primo e più importante colpo lo si potrebbe battere in Parlamento proprio in questi giorni, in queste ore. Riducendo finalmente il numero dei parlamentari e varando una legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere i propri rappresentanti e garantisca una buona stabilità di governo.

Guardando avanti e al bene del paese, non all'immediato interesse di parte. Andrebbe cioè smentita, con i fatti, la vice presidente del Senato Emma Bonino che ieri, con la sua solita semplicità e schiettezza, ha detto una verità cristallina: "Oggi nel Parlamento italiano prevale una visione corta".

Quello che internet non può garantire

Ha scritto Beppe Grillo in una lettera al Financial Times: “Lo spirito del M5S può essere riassunto in due parole; trasparenza e partecipazione, entrambi possibili grazie alla diffusione di Internet”.

Ha ragione perché il suo movimento è nato, come dire, per conto suo. Senza grandi investimenti, senza telegiornali, giornali, giornalisti potenti… Grazie alla rete e nella rete. Diffondendosi velocemente, mettendo radici,  condividendo con rapidità ed efficacia idee e programmi. E’ probabile che senza la rete il bisogno di partecipazione si sarebbe comunque manifestato, ma la sua diffusione sarebbe stata sicuramente più lenta e meno capillare.

Ma la sua frase può essere equivocata. Per evitarlo è sufficiente non considerare internet come garanzia di "trasparenza e partecipazione", come potrebbe suggerire una lettura forzata.

Internet è una piazza, un insieme di piazze, strade, luoghi pubblici e meno pubblici. E  le idee, nelle piazze, si sono sempre formate, si formano e si formeranno. E così come nessuna piazza è mai stata garanzia di “trasparenza e partecipazione” così non lo può essere nemmeno internet.

Solo giustizia

Stragi naziste, Armadio della vergogna, muro del silenzio... Se ne discute a Roma al teatro de' Servi e può venir voglia di chiedersi che senso abbia, quasi settant'anni dopo quelle terribili giornate, riunirsi per questo in un teatro.

I termini della questione sono molto semplici e crudi. Dall'8 settembre 1943 alla fine della guerra si calcola che tra i 20 e i 3o mila italiani, tra militari e civili, siano stati uccisi, non in combattimento, da militari tedeschi . Sono le stragi con le quali sono stati annientati interi reparti che si erano rifiutati di consegnarsi. Sono le stragi di donne, bambini, anziani. Se ne contano 2273, di stragi. E per le stragi sono state eseguite le condanne contro appena un pugno di ufficiali nazisti. Gente come Walter Reder, Herbert Kappler, Erich Priebke... E tutti gli altri? Ignoti? Sfuggiti alla giustizia grazie a misteriose vicende di guerra?

No. Sono stati identificati, denunciati, mandati a processo, i processi per un bel po' sono stati congelati (o, meglio, chiusi nel cosidetto Armadio della vergogna), poi sono stati riaperti, istruiti, andati a sentenza. E le sentenze sono diventate definitive. Ventuno condanne all'ergastolo per strage contro altrettanti militari tedeschi.

Adesso ne sono rimasti in vita sedici e nessuno, ma proprio nessuno si preoccupa di rendere esecutive quelle sentenze. Lo ha denunciato il procuratore militare con chiarezza: "Allo stato non si hanno notizie in ordine a quale seguito sia stato dato a dette richieste da parte della competente autorità governativa italiana".

In altre parole: i tribunali hanno condannato, il governo non fa nulla per far eseguire le condanne, nemmeno un passo formale.

E ci si torna a chiedere: ma cosa si vuole? che si vada ad arrestare ultranovantenni a un passo dalla morte?

Si, se io fossi uno di quei bambini che ha visto uccidere la propria madre, lo vorrei. E lo vorrei anche se fossi uno che ha sentito raccontare come i propri parenti o gli amici dei propri genitori sono stati massacrati. E lo vorrei, infine, anche se fossi soltanto, come sono, un semplice cittadino europeo.

Vorrei che un signore in divisa bussasse a ciascuna di quelle sedici case per consegnare un foglio con su scritto che quell'uomo è colpevole e che per questo deve restare chiuso in casa per quel che gli resta da vivere.

Vendetta? No. Solo giustizia.

#no2giugno, ma sfilare fino in Emilia

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#no2giugno è arrivato subito, spontaneo, immediato, dirompente.  Twitter l'ha diffuso viralmente in tutta Italia facendolo diventare un grande grido, unico e condiviso: annullare la sfilata del 2 giugno e destinare i soldi ai terremotati.

Giusto, condivisibile, augurabile. Con due avvertenze e una proposta, come dire, "integrativa".

Che i soldi risparmiati, davvero risparmiati, si sappia quanti sono e dove andranno.

Che nelle zone terremotate vengano dirottati i reparti militari (o forze equivalenti) che dovevano sfilare in via dei Fori Imperiali.

La proposta è che si tenga ugualmente una piccola sfilata. Un solo reparto che comprenda e rappresenti tutte le Forze Armate e che non fermi la propria marcia in piazza Venezia ma continui, simbolicamente, a marciare fino all'Emilia.

Per ricordare il giorno in cui è nata la Repubblica nel modo più degno. Con le forze armate che vanno in aiuto alle popolazioni ferite.


Terremoto, i twitter-radioamatori

Chi si occupa di informazione e di gestione delle emergenze ricorderà questo terremoto come il terremoto di twitter.

Mai come oggi, 20 maggio 2012, il social network veloce ed efficiente è stato, in Emilia, il vero canale attraverso il quale si è diffusa l'informazione sulle scosse, sulle vittime, sui danni. Con brevi messaggi, foto, video. Prima di radio e televisione. In modo capillare. Grazie a semplici cittadini e a enti pubblici, come diversi Comuni, che si sono mossi in modo autonomo per informare e dare punti di riferimento.

Il tutto autogestito, spontaneo, non coordinato se non attraverso quell''hashtag #terremoto che ha tutto convogliato in un unico gigantesco canale.

Perché la Protezione civile, a tutti i livelli, non è attiva su un mezzo di comunicazione così efficiente? Perché non si organizza per raccogliere, come stanno facendo molti siti di informazione, notizie anche dalla rete? Perché non coordina il flusso di informazioni suggerendo hashtag, contattando cittadini attivi che si trovano in luoghi chiave, filtrando (cioè verificandone la veridicità) e smistando notizie?

Una volta erano i radioamatori a essere efficaci collaboratori nella gestione delle emergenze. Raccoglievano e distribuivano informazioni da posti altrimenti irraggiungibili in breve tempo. Erano pochi e non dappertutto.

I radioamatori di oggi sono decine di migliaia e sono ovunque. Invece delle grandi e costose radio usano il social network  con l'uccellino. Potrebbero essere una rete di supporto straordinaria, mille volte di più dei radioamatori di un tempo.

Ma vanno organizzati, e subito. Ci sono già esperienze all'estero a cui ispirarsi. Basta volerlo, iniziando con il creare un linguaggio comune e condiviso.


Il falò degli anarchici

Ho letto e riletto il volantino con cui gli anarchici  del FAI-FRI hanno rivendicato il ferimento di Roberto Adinolfi. Vi cercavo punti di contatto con quelli che, tanti fa, che arrivavano puntuali dopo ogni attentato delle Brigate Rosse. Tutto diverso. Linguaggio, obiettivi apparenti, costruzione del ragionamento, argomentazioni. Stavo per concludere che nulla, se non un proiettile,  unisce oggi a ieri, quando mi è tornato in mente un racconto di Alberto Franceschini, uno dei capi storici delle Brigate rosse.

Mi raccontava (era la fine degli anni Ottanta e lui era ancora in carcere a Rebibbia) delle navi bruciate alle spalle: un momento cruciale del suo diventare brigatista e, probabilmente, uno di quelli che ricordava con maggiore intensità. "Un rito", ho sintetizzato nella sua biografia, Mara , Renato e io, "che nasceva dalla lettura delle opere di Guevara. Il Che raccontava l'ultima offensiva di Simon Bolivar contro i colonialisti: arrivò con le navi e diede ordine di bruciarle, rendendo così impossibile ogni ritirata. Il suo motto, dopo quell'ordine, divenne "O vittoria o morte". E noli, senza dirci niente, lo facemmo nostro. Ogni nuovo compagno, per diventare un "regolare" doveva bruciare i propri documenti davanti agli altri, pubblicamente... in quel momento si bruciavano le navi alle proprie spalle, si chiudeva la via della ritirata... Quando bruciai la carta d'identità mi sentii un uomo libero... Con quel piccolo falò avevo preso in mano la mia vita".

Ho letto nuovamente le parole degli anarchici e ho trovato uno spirito simile. Anche loro hanno bruciato le loro navi e anche loro provano quella sensazione di libertà improvvisa. L'attimo è quello che in cui sparano il primo proiettile contro Roberto Adinolfi. E' il loro falò.

Scrivono: "Siamo dei folli amanti della libertà e mai rinunceremo alla rivoluzione... Vincere la paura è stato più semplice di quello che ci eravamo immaginati. Realizzare oggi quello che solo fino a ieri ci sembrava impossibile è l'unica soluzione... per abbattere il muro dell'oppressione quotidiana". E prima, a sottolineare il valore simbolico del primo proiettile l'agghiacciante "impugnare una pistola, scegliere e seguire l'obiettivo, coordinare mente e mano sono stati un passaggio obbligato... il rischio di una scelta e ... un confluire di sensazioni piacevoli... quella che adesso cerchiamo è complicità".

All'inizio degli anni Settanta molti, troppi, sottovalutarono quei ragazzi che bruciavano macchine e rapivano dirigenti per poche ore. E quasi nessuno capì che erano destinati a raccogliere complici a decine e centinaia.

Chi ha sparato ad Adinolfi l'ha fatta più semplice, ha dichiarato esplicitamente di cercare complici. Quello che questa volta dovremmo capire per tempo è che, oggi come allora, non è solo un problema di polizia. E' anche il sintomo di una malattia sociale che rischia di attecchire e che va guarita per tempo. Altrimenti i complici si moltiplicheranno e potremmo trovarci a vivere un'altra stagione di sangue.

Proiettili

ZCZC
ADN0168 7 CRO 0 ADN CRO NAZ
**FLASH -GENOVA: GAMBIZZATO AMMINISTRATORE DELEGATO DI ANSALDO NUCLEARE- FLASH** =(Sca/Opr/Adnkronos)
07-MAG-12 09:57

No, questo no. E' un terribile salto indietro nel tempo: flash di agenzia così ne vedevamo quasi ogni mattina, tanti anni fa. Battaglie quotidiane di una lunga guerra che i terroristi hanno perso dopo tanto di quel sangue che si rischia di perderne la memoria.
Ma quella memoria non va persa, va coltivata. Perché anche se non si sa ancora nulla di questo colpo di pistola la sola ipotesi che si tratti di un "atto eversivo" è agghiacciante, da "non commentare", come ha detto il ministro Fornero.
Una sola cosa bisogna fare, non lasciare spazio neanche per un attimo, e per nessuna ragione, a chi pensa che dei proiettili possano servire a cambiare in meglio il nostro paese. Una considerazione ovvia? Forse, ma talvolta le ovvietà è opportuno ripeterle.

Non solo azienda

Tre persone di grande competenza chiamate a fare quello che sanno fare meglio: Enrico Bondi, Francesco Giavazzi e Giuliano Amato. Come si fa nelle grandi aziende quando ci sono problemi specifici, ma di grande portata, da risolvere.

Una contraddizi0ne perché un governo di tecnici chiama dei tecnici al proprio fianco?

No. E' il gesto saggio di chi deve risanare una grande azienda.

E uno Stato oggi è un po' come una grande azienda.

Ma non soltanto e non soprattutto. Non dobbiamo dimenticarlo

La libertà è di tutti

Basta con le polemiche su chi può o non può festeggiare il 25 aprile. Su di chi è o non è la festa che ricorda il giorno in cui l'Italia è tornata libera.
Il 25 aprile è di tutti gli italiani che lo vogliono. E dovrebbero volerlo tutti e tenerselo ben stretto.
Perché quel giorno finì l'occupazione nazista e l'Italia iniziò a diventare quella che è oggi: libera e repubblicana.
Il 25 aprile, in particolare, dovrebbero volerlo anche coloro che sono stati fascisti perché da lì è iniziata anche la loro libertà e quella dei loro padri.
E non gli andrebbe impedito di festeggiarlo. Proprio in nome della libertà conquistata quel giorno e a un solo patto: chi festeggia il 25 aprile dichiari di dire anche no, in modo irreversibile, a tutti i fascismi. Di ieri e di oggi.