Ancora una volta un nodo politico sta arrivando ai cittadini, agli elettori, come uno dei tanti scontri tra partiti o fazioni di partiti e non per quello che è: una questione cruciale per il futuro del nostro paese.
Mi riferisco all'elezione dei senatori che in queste giornate agostane è oggetto di una prova di forza di Matteo Renzi contro tutti gli altri, dentro e fuori il suo partito.
I termini della questione, ridotti all'osso, sono semplici. Il Senato deve discutere e approvare la riforma della costituzione che prevede l'abolizione del bicameralismo perfetto (quasi tutte le leggi verranno approvate dalla sola Camera) e l'elezione indiretta dei senatori. Sul primo punto non ci sono discussioni. Lo scontro è sul secondo, e va avanti da mesi.
Chi vuole, al contrario di quello che prevede adesso il disegno di legge, l'elezione diretta dei senatori sostiene che la nuova legge elettorale (il cosiddetto Italicum) formerà una Camera sostanzialmente di nominati guidata dal partito che avrà conquistato il premio di maggioranza. E sarà questo partito ad avere di fatto in mano una gran quantità di poteri che arriva fino all'elezione del presidente della Repubblica e alla nomina dei giudici costituzionali. Un sistema siffatto ha assoluto bisogno di un Senato che, benché escluso dal normale processo di formazione delle leggi, abbia forti poteri di controllo e un'autonomia e una forza che solo un mandato diretto degli elettori può conferirgli.
Questo, in massima sintesi, sostiene chi, anche dall'interno del Partito democratico, chiede una revisione della legge in questo senso.
Un'esigenza che, personalmente, avverto come davvero essenziale per far nascere un sistema che sappia dare stabilità e forza all'azione di governo all'interno di un equilibrato meccanismo di controlli e contrappesi.
E l'arrivare o meno a una soluzione del genere è davvero una questione cruciale.