Un sabato da dimenticare e da ricordare.
Da dimenticare perché ha dato una visione plastica di quello che sta succedendo in Italia. Stanno salendo l'odio e la rabbia. E stanno salendo vestendosi con l'abito più a portata di mano che c'è, quello del fascismo. Lo stesso fascismo dell'olio di ricino, delle leggi razziali, del delitto Matteotti. Dice il capo di Casa Pound Simone Di Stefano: "Il fascismo è una dottrina politico sociale che non è esattamente una dittatura... non vogliamo sopprimere la democrazia... Il fascismo non lo rinneghiamo". Ma poi aggiunge: "Se i traditori della nazione faranno lo Ius soli voleranno le sedie in parlamento e li andiamo a cercare alla buvette".
Fa male ascoltare affermazioni del genere. Fa male a noi nati dopo il fascismo e che ne abbiamo solo letto. E fa male soprattutto a chi il fascismo lo ha vissuto direttamente sulla sua pelle o su quella dei suoi cari.
Delle storie storie di più di 70 anni fa non bisognerebbe più parlare, dovrebbero far parte del vissuto di tutti noi. Ma sembra proprio che non sia così. E allora torniamo indietro nel tempo e facciamo un esempio per tutti così da non dimenticare a cosa ha portato quella "dottrina politico sociale". A Sant'Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, il 12 agosto 1944, salirono le SS a uccidere 560 persone. Con loro, a fargli da spalla e da guida, numerosi fascisti collaborazionisti della zona. Così vigliacchi da uccidere a volto coperto. Ha ricordato una sopravvissuta, Cesira Pardini, che quel giorno perse la mamma, due sorelle, una nonna, quattro zie e cinque cugini: "Gli occhi dell’uomo che ha sparato alla mia mamma non li ho potuti vedere. Aveva la divisa da tedesco e la faccia coperta da una di quelle retine che fanno sembrare mascherati... Non ha parlato perché non poteva, l’avremmo riconosciuto tutti, sennò. Era italiano". Poco più di dieci giorni dopo, dall'altra parte della montagna, un centinaio di brigatisti neri parteciparono attivamente alla strage di Vinca, 174 morti.
Ma questo è anche un sabato da ricordare perché a Roma ha visto in piazza, insieme, buona parte di chi contro questi disvalori combatte da sempre. Pezzi di una sinistra sempre più divisa hanno sfilato per le strade scandendo gli stessi slogan, cantando le stesse canzoni. Non è stato certo un passo verso un'unità al momento inesistente. Ma una piccola prova che, cercando quello che unisce invece che quello che divide, si potrebbe costruire meglio il futuro e tenere lontani razzismi, violenze e fascismi.