Senza entrare nel dettaglio è sufficiente ricordare che al momento del voto, al Senato, si è assentato Luigi Manconi, che questa legge aveva proposto e che portava il suo nome. Che Amnesty international, che quando si parla di tortura e maltrattamenti è un indiscutibile punto di riferimento, l'ha definita "difficilmente applicabile". Che un gruppo di autorevoli giuristi la definisce "un'informe creatura giuridica". Che il commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa ha chiesto al Parlamento italiano di modificare la legge perché quella attualmente in discussione non è in linea con gli standard internazionali.
E non si può non essere d'accordo con queste dure critiche. La legge, per esempio, non configura la tortura come reato proprio del pubblico ufficiale e prescrive, perché si possa parlare di tortura, che il fatto sia "commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità".
Eppure sarebbe tutto molto semplice. L'Onu ha definito la tortura nel 1984 (qui il testo integrale della Convenzione) e basterebbe rifarsi all'articolo 1 per approvare una legge capace di individuare e punire il pubblico ufficiale che commette il più ignominioso dei reati: utilizzare l'autorità conferitagli dallo Stato, cioè da ciascuno di noi, per usare violenza su una persona che gli è affidata.
Perché in uno Stato civile ciascuno deve poter entrare in una caserma o in un commissariato con la certezza che verrà trattato secondo la legge, senza aver di fronte a sé la terribile immagine di Stefano Cucchi e degli altri massacrati da tutori dell'ordine che hanno tradito il loro giuramento.
La Camera, dove la sinistra ha, teoricamente, una salda maggioranza, può cambiare rapidamente il testo. E al Senato potrebbe cercare i consensi necessari a far diventare legge un testo in linea con la legislazione internazionale. Sempre che lo voglia davvero e non si lavi la coscienza approvando una legge sbagliata.