Il No al referendum del 20-21 settembre sul taglio dei parlamentari mi sembra un atto doveroso nei confronti della nostra Costituzione.
L’impianto costruito dall’Assemblea eletta il 2 giugno 1946 è fatto da un complesso sistema di pesi e contrappesi, di equilibri, di poteri bilanciati… Il tutto progettato per prevenire svolte autoritarie e garantire una buona stabilità al sistema democratico.
Finora, e sono passati 72 anni, la Carta ha svolto bene il proprio compito. Ha impedito che una maggioranza parlamentare potesse, in una sola legislatura, prendere tutto per sé (governo, Quirinale, Corte costituzionale…). Ha garantito la dialettica politica. Ha favorito e protetto grandi progressi sul piano dei diritti civili. E ha resistito a chi voleva cambiarla senza un ampio consenso o con referendum dal sapore plebiscitario.
Questo non vuol dire che la Costituzione non possa essere cambiata. Anzi, sarebbe davvero necessario cambiarla e negli ultimi decenni sono stati fatti diversi tentativi. I punti cruciali sono ben noti. Assegnare un ruolo più incisivo al capo del governo, diversificare compiti e composizione dei due rami del Parlamento eliminando il farraginoso “bicameralismo perfetto” e, magari, riducendo il numero dei parlamentari, snellire il processo di formazione delle leggi, garantire una reale alternanza alla guida del paese.
Questi, insieme a molti altri, sono i nodi che prima o poi dovranno essere affrontati in modo serio e il più possibile condiviso.
Fino a quel momento colpetti di piccone alla Costituzione non possono che danneggiare l’intero impianto. Sarebbe come togliere qualche mattone al muro di una casa. Magari non crollerà subito, ma sicuramente la sua solidità ne risentirà in modo significativo.
Le conseguenze del taglio secco dei parlamentari sono state ben sviscerate in queste ultime settimane. Prime fra tutte la mancanza di una legge elettorale capace di garantire un’adeguata rappresentanza delle forze politiche e dei territori e le ripercussioni negative sui lavori parlamentari.
E i calcoli fatti dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli riducono praticamente al nulla la ragione principale addotta nel cercare di dare questa pericolosa picconata alla Costituzione, cioè il risparmio per le casse pubbliche, un taglio risanatore. La minore spesa sarebbe di 57 milioni all’anno, pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica, come se uno di noi decidesse di risanare il proprio bilancio familiare “tagliando” il caffè mattutino.