Spacchettamento

Spacchettamento. E' la brutta, ma magica parola che in questi giorni sta girando sempre più freneticamente per le strade della Roma politica. Spacchettare il referendum sulla riforma costituzionale vuol dire chiamare gli elettori a votare non più su tutta la riforma, si o no, ma su diversi "pacchetti", su gruppi di articoli omogenei. Lo avevano proposto i costituzionalisti che, lo scorso aprile, si erano pronunciati contro la riforma e ne avevo parlato, condividendo l'idea, anche in questo blog.

Il percorso verso lo spacchettamento, oltre a porre complesse tematiche giuridiche, ha tempi stretti e tortuosi. Ma, malgrado questo, è un'ipotesi che piace sempre di più anche all'interno della maggioranza. 

Il motivo è semplice. Lo spacchettamento disinnescherebbe la bomba a orologeria accesa da Matteo Renzi giocando tutto sull'esito del referendum.  La disinnescherebbe sia nei tempi che nel merito.

Nei tempi perché la procedura complessa, secondo gli esperti, porterebbe a un quasi sicuro slittamento della consultazione alla primavera del 2017, sempre più vicino cioè alla scadenza naturale della legislatura (15 marzo 2018). E con maggior maggior tempo a disposizione per una eventuale, e auspicabile, revisione della legge elettorale.

Nel merito perché ampie parti della riforma riscuotono consensi anche unanimi. Basti pensare al bicameralismo o all'abolizione di province e Cnel. Molti "pacchetti" verrebbero così senz'altro approvati e l'eventuale vittoria del no su alcuni punti (primo fra tutti quello che riguarda il nuovo Senato) avrebbe un impatto politico decisamente minore.

 

 

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