Emergenza coronavirus, Italia chiusa, italiani in casa, controlli di polizia per chi esce senza un motivo. Il pensiero mi è andato agli italiani di 75 anni fa… Anche per loro c’era il coprifuoco, ma era diverso… Ecco l’articolo.
È la prima volta che alle nostre generazioni viene imposto per decreto un comportamento che cambia, nel profondo, le abitudini di vita. Quando dico le nostre generazioni intendo tutti. I figli del dopoguerra, del boom, degli anni Settanta, degli anni Ottanta, degli anni Novanta. Del Duemila. Generazioni che, in Italia, hanno goduto, più o meno, di una grande libertà. Senza che mai nulla cambiasse più di tanto il modo di vivere.
Oggi capita, a tutti noi, di non poter uscire di casa se non c’è un motivo preciso e urgente e sempre con il foglio dell’autocertificazione in tasca. Così, se siamo diligenti e rispettiamo le regole, possiamo solo andare a far la spesa o in farmacia, nemmeno più in chiesa, se non da soli a dire una preghiera. Ed è bene evitare anche una semplice passeggiata per sgranchirsi le gambe. Il lavoro poi, se possibile, meglio svolgerlo da casa. Le nostre relazioni sociali ne escono radicalmente modificate. Con amici e parenti ci sentiamo e ci vediamo soltanto grazie ai nostri cellulari e ai nostri computer.
E così, dall’oggi al domani, ci sembra di vivere in un’altra vita. Una vita nella quale non ci si può toccare e abbracciare. Non si può mangiare una pizza insieme o bere un caffè al bancone del bar.
Bene. Quando facciamo tutto questo obbedendo a quello che tutti, dico tutti, ci consigliano e ci impongono di fare, dovremmo farlo con grande serietà ma anche con grande leggerezza.
La leggerezza che non può non nascere se si pensa, anche solo per un attimo, a quello che le generazioni prima di noi hanno passato.
Immaginiamo di leggere un manifesto che ordina il coprifuoco, cioè di non uscire di casa in certe ore, pena la morte.
Immaginiamo di dover comprare di nascosto al mercato nero, vietato, la farina per fare un po’ di pasta.
Immaginiamo di essere su un treno con quella farina che è proibito possedere e vedere arrivare un poliziotto dell’esercito di occupazione tedesco con la pistola e il mitra.
Immaginiamo che ci uccidano la mucca che, con il suo latte, è l’unica fonte di sostentamento di nostro figlio o di nostra figlia.
Immaginiamo di dar da bere a un giovane uomo che ha sete e che è un partigiano e che, facendo quel semplice gesto di umana solidarietà, rischiamo di venire uccisi.
Immaginiamo di essere in un rifugio antiaereo mentre, sopra, la nostra casa viene bombardata con tutta la nostra vita dentro.
E potrei continuare all’infinito nell’immaginare tutto quello che le nostre generazioni, e parlo solo dell’Italia e di una parte dell’Europa perché altrove non è stato così, hanno avuto la straordinaria fortuna di non vivere.
Oggi ci viene chiesto soltanto di starcene, per un po’, buoni nella nostra stanza. Per difendere noi stessi, i padri dei meno giovani e i nonni dei più giovani.
Con il supermercato sotto casa aperto e gli ospedali con medici e infermieri pronti.
Precauzioni esagerate? I contagi e il numero di morti sempre crescenti non autorizzano una conclusione del genere.
Non possiamo cambiare così la nostra vita? Guardiamoci per un attimo indietro e vergogniamoci anche solo di averlo pensato.
L’articolo è stato pubblicato dalla Provincia Pavese, dalla Gazzetta di Mantova, dal Mattino di Padova e da altri quotidiani del gruppo Ged