Dedico il primo post del 2015 a Fabrizio Pulvirenti, il medico di Emergency colpito da Ebola che, appena guarito, ha detto di voler tornare in Sierra Leone per finire il proprio lavoro.
Il dottor Pulvirenti ha detto di se stesso: "Non sono un eroe, ma un soldato ferito".
A ben pensarci è la definizione più bella che un uomo possa dare di se stesso.
Gli eroi, nel mito classico, erano "esseri semidivini dotati di eccezionali virtù", poi sono diventati coloro che danno "prova di straordinario coraggio e generosità, che si sacrificano per un ideale" (definizioni del Grande dizionario del De Mauro). Insomma, persone fuori dalla norma, quasi inimitabili.
Il "soldato ferito", invece, è una figura meno lontana da ciascuno di noi. "Soldati feriti", se compiamo il nostro dovere, possiamo esserlo tutti.
Definendosi così Fabrizio Pulvirenti ci ha fatto dono della sua terribile e straordinaria esperienza che, in questo modo, diventa patrimonio di tutti. E ci ha detto che per far girare il mondo nel verso giusto servono solo persone normali, con un coraggio normale, con una coscienza del proprio dovere normale.
E a noi che abbiamo cominciato l'anno con le tristi polemiche sui vigili romani questi concetti semplici e, per certi versi, banali, non possono che avere un sapore rivoluzionario.