Il Partito democratico è la nuova Democrazia cristiana? E’ il nuovo grande partito dell’italiano medio un po’ cattolico, un po’ conservatore, un po’ pauroso del cambiamento, un po’ di sinistra ma poco poco, un po’ di destra ma poco poco?
Senza avventurarsi in paralleli storici complessi, e anche inutili tanto sono differenti le situazioni, penso si possa rispondere tranquillamente no, il Pd non è la nuova Dc.
I progetti del segretario-presidente del consiglio hanno un così forte contenuto di cambiamento, in Italia e in Europa, che è difficile trovare qualcosa di appena simile nei decenni di dominio dc.
Matteo Renzi non difende l’esistente, ma indica cosa e come va modificato con precisione e con grande energia. Viene addirittura accusato di fare programmi troppo densi e con tempi impossibili, esattamente l’opposto di quello che faceva la Dc. E non è, almeno fino a questo momento, il terminale di interessi consolidati che devono essere protetti.
Certo, tra chi ha votato Pd ci sono sicuramente uomini e donne che l’ultima volta hanno fatto il segno sul nome di Berlusconi o anche di Grillo. E questa capacità dimostrata da Renzi di attrarre voti dai settori più disparati è uno degli elementi principali a favore della tesi Pd=Dc.
Ma invece dimostra l’opposto. Dimostra cioè che una buona fetta di elettorato si sente rassicurata e da fiducia a chi vuole mettere mano alla costituzione, combattere i privilegi, incidere radicati bubboni, lottare per una diversa Europa.
Non è un ritorno della Dc, ma una stagione nuova dove tutto è rimescolato e che è stata aperta da un voto inequivocabile: la maggioranza del paese vuole davvero cambiare le cose. Sembra una frase generica e retorica, ma non lo è.