In Ucraina orientale, nemmeno cento chilometri a nord della zona dove si combatte e si muore, c’è questo cimitero-monumento. E’ dedicato ai soldati russi, ucraini, kazaki… ai soldati sovietici, insomma, che vennero uccisi mentre, nell’inverno 1942-43, difendevano il loro paese dagli invasori: tedeschi, italiani, rumeni…
Una decina di anni fa andai là, a Kurjatsckjewka, sulle tracce del reparto dell’Armir (Armata italiana in Russia) in cui aveva combattuto mio padre.
Camminai su quelle pietre bagnate leggendo le centinaia di nomi impressi sulle lapidi, avendo dentro di me gli scarni e sofferti racconti paterni, rivedendo l’”isba della pace” raccontata da Mario Rigoni Stern.
In quel silenzio tutto sembrava tornare a posto. L’Unione Sovietica era sparita da tempo, quel carro armato era come dicesse mai più tutto quel sangue su questa terra, le case dove mi fermai a parlare erano semplici e pulite, serene.
Ricordo con precisione i miei pensieri di quei giorni. Ero così immerso nel ricordo della morte e delle sofferenza che pensai di trovarmi in una sorta di porto franco. Qui, dissi a me stesso e ai miei compagni di viaggio, sarà pace per i secoli a venire. Chi può più volere questa terra? Chi vorrà più uccidere questa gente? Chi la costringerà ancora una volta a dare la propria vita per difendere i propri campi e i propri figli?
Dieci anni, nemmeno dieci anni, e quei pensieri di allora sono diventati sogni distrutti da un risveglio brusco.
Però mi piacerebbe che, dentro di me, restasse almeno un filo di quel sogno. E mi piacerebbe passarlo a più persone possibile.
Il sogno è che si riesca a sentire un po’ nostra, e quindi a volerla in pace, quella terra dove anche i nostri padri e i nostri nonni sono morti e hanno portato morte.