Sono a Boston e domenica mattina sono andato a fare una passeggiata lungo il fiume. C’era una vera e propria fiumana di gente, migliaia e migliaia di persone, dalla quale mi sono lasciato travolgere, nella quale mi sono immerso. Erano uomini, donne, tante donne, ragazzi, ragazze, tante ragazze che camminavano, vestiti soprattutto di rosa, per sostenere la lotta contro il cancro al seno. Tra di loro alcune portavano una fascia rosa pallido con su scritto “Survivor”, sopravvissuta al cancro. La portavano con evidente orgoglio, guardandosi intorno, rispondendo con il sorriso a chi le fermava per far loro una domanda.
Alcune mie amiche, anche molto care, hanno combattuto la stessa battaglia. Me ne hanno parlato con pudore, magari dopo del tempo. Ma tutte con la stessa luce negli occhi: la voglia di vivere e di raccontare che, anche se il cancro ti attacca, si può e si deve continuare a vivere.
Ecco, quelle fasce da “Survivor” si muovevano sul lungo fiume e sui ponti di Boston proprio per urlare questo.
“In America”, mi ha detto una mia amica “sopravvissuta”, “i cancer survivor vengono vissuti come degli eroi, in Italia si parla ancora di ‘male incurabile’… capisci gli anni luce di differenza?”.
“Pensa che bello”, ha aggiunto, “se anche noi, tutte insieme, si sfilasse per le nostre strade con una fascia con su scritto ‘Sopravvissuta’. Che esempio per chi scopre all’improvviso di avere la bestia dentro, che forza straordinaria ne ricaverebbe”.