Quello che sta accadendo nel Partito democratico può essere letto in tanti modi. E la responsabilità della scissione, o come la si vuole chiamare, può essere attribuita agli uni o agli altri con argomentazioni che hanno tutte una loro validità. Si può anche ritenere che tutto questo sia la fine della sinistra o l'inizio di una nuova e vera sinistra.
Quello che però sembra fuori discussione è il ruolo che ha avuto, in queste tormentate giornate, la legge elettorale prossima ventura. Si sa che sulla prospettiva di una legge proporzionale si sta creando, come si dice, una "vasta convergenza". E si sa che una legge proporzionale più o meno pura attribuisce a formazioni anche di piccola o media consistenza un potere notevole, una "forza di interdizione" che altrimenti sarebbe praticamente inesistente. Per capirsi. Se sono minoranza in un partito devo seguire la linea della maggioranza, chiedere posti, avere ben poca forza. Se, invece di restare minoranza, esco dal partito potrò poi discutere con i suoi vertici da pari a pari e ottenere molto di più, sia in termini politici che di visibilità e di potere.
Tutto qui. Certo, alla base c'è un divaricarsi sempre più accentuato delle visioni politiche e sulla concezione stessa di Partito democratico. Ma se non si stesse disgraziatamente tornando a un meccanismo elettorale che la storia e gli italiani avevano condannato più di 20 anni fa l'accelerazione verso la frammentazione della sinistra sarebbe stata senz'altro più lenta o del tutto inesistente.
Un'altra buona ragione per contrastare il ritorno a un sistema elettorale proporzionale.