Vorrei dire la mia sulla questione Decima Mas-La Russa sollevata con veemenza da Michela Murgia e condivisa con altrettanta decisione da Roberto Saviano. È ormai pacifico che lo scorso 2 giugno l’ufficiale che guidava i Consubin lungo via dei Fori Imperiali non ha fatto nessun saluto romano ma un normale gesto che ordina l’attenti a sinistra. Ed è anche pacifico che il grido «Decima» al passaggio davanti al presidente della Repubblica non è una novità di quest’anno, con la destra al governo, ma è risuonato anche durante le passate sfilate per la festa della Repubblica. E allora? Qual è il problema? Il problema è un altro gesto, quello del presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato. Il segno di vittoria fatto all’indirizzo degli incursori che avevano appena gridato «Decima», il suo sorriso compiaciuto. Un “onore”, diciamo così, non concesso a molti altri reparti. Perché per La Russa, e per quelli che hanno la sua storia e le sue idee, la Decima è sì quella del Regno d’Italia, quella della impresa di Alessandria d’Egitto. Ma è soprattutto la Decima della Repubblica sociale, quella con il teschio con la rosa in bocca nello scudetto, quella che fu schierata contro i partigiani, quella che si rese responsabile di eccidi e torture, quella comandata da Junio Valerio Borghese, processato e condannato in Corte d’Assise. E Borghese è stato presidente dello stesso partito neofascista in cui è cresciuto La Russa, il Movimento sociale, che ha poi lasciato per andare oltre, fondare il Fronte nazionale, promuovere nel 1970 un colpo di Stato, rifugiarsi nella Spagna franchista.
Con quel segno di vittoria La Russa ha dunque prima di tutto offeso gli incursori della Marina, uno dei reparti di eccellenza delle Forze armate italiane. Ha dato al loro grido e alla loro presenza una valenza politica, li ha fatti simbolicamente diventare gli eredi della Decima di Borghese, della Decima arrivata dentro il Movimento sociale. Non della Decima che l’8 settembre andò dalla parte giusta, quella che diventò Mariassalto, una formazione che ha combattuto al fianco degli Alleati, che era comandata da Ernesto Forza, un ufficiale medaglia d’oro che aveva comandato la X Flottiglia Mas prima di Borghese. E della quale hanno fatto parte molti degli stessi incursori che violarono il porto di Alessandria, come Luigi Durand de la Penne.
Io non so a chi spetta decidere cosa devono gridare i militari che sfilano davanti al Capo dello Stato. So però che adesso gli incursori di marina hanno tre strade davanti a loro. L’anno prossimo gridare ancora «Decima» restando impermeabili alle polemiche di questi giorni ma conservando un motto senza dubbio ambiguo. Oppure stare zitti, sottraendosi al giudizio, ma dimostrando anche di non sapere da che parte stare. Oppure, gridare, come ha suggerito anche Saviano, «Mariassalto». È più lungo, è una parola più da indirizzo telegrafico che da motto di incursori. Ma sarebbe una scelta netta, inequivocabile. Vorrebbe dire, semplicemente, noi non siamo gli eredi di quelli che hanno ammazzato i partigiani, noi siamo gli eredi di quelli che hanno combattuto contro i nazisti e i fascisti, di quelli che sono andati dalla parte giusta della storia.
Sì, dovrebbero fare proprio così, gridare «Mariassalto!».