A casa, sullo scaffale di una libreria, ho una minuscola anfora dal sapore molto antico e con una etichetta su cui è scritta, a matita, un'unica parola: Tobruch. La riportò mio nonno, nel 1912, dalla Libia dove era andato a combattere e che era appena diventata italiana .
In questi giorni ho guardato spesso quell'anforetta, l'ho tolta dal suo posto e messa sulla scrivania, ho ripensato ai pochi racconti del nonno, sono andato a guardarmi qualche foto e a rileggere qualche pagina su quella conquista e su quello che ne seguì, soprattutto negli anni Venti e Trenta.
Probabilmente finirà davvero che soldati italiani sbarcheranno nuovamente in quella terra, questa volta non per occupare ma per difendere le frontiere meridionali dell'Europa e quelle del nostro paese. Ma la storia di allora e la storia recente dovrebbero avere insegnato che modelli sociali e politici non si esportano, che la pace non si impone, subito, con le armi. Che la pace, caso mai, la si cerca mediando, aiutando, affidandosi alla forza della diplomazia, della politica. Solo se tutto questo non fosse sufficiente sarebbe forse legittimo usare le armi.
Ecco perché ha fatto bene Matteo Renzi a premere per un'azione diplomatica e quindi, indirettamente, a smentire i suoi ministri che avevano parlato di un'Italia "pronta all'intervento militare".