La trappola è pronta a scattare, come altre volte è successo negli ultimi vent’anni.
Leggi e sentenze sono lì a parlare chiaro.
Un senatore (Silvio Berlusconi) è stato condannato a 4 anni di reclusione per frode fiscale. Una legge (approvata proprio per impedire che i pregiudicati approdino in Parlamento) prevede che lo stesso senatore debba decadere e comunque non essere ricandidabile. Se questa legge non bastasse, a breve una Corte d’Appello deve stabilire per quanti anni lo stesso senatore sarà interdetto dai pubblici uffici, e quindi non potrà occupare un seggio parlamentare.
Di fronte a questo quadro ci sarebbe una sola cosa da fare.
Chiedere, semplicemente, che le regole vengano rispettate e che il suddetto senatore tolga il disturbo.
Cercare altro (accordi, commutazioni di pena, rinvii e inciuci vari) vuol dire, altrettanto semplicemente, aiutare, appoggiare, coprire un pregiudicato. E fare in modo che non paghi per il reato che ha commesso.
Invece sta scattando la trappola.
Gli amici del senatore in questione stanno puntando il dito contro chi vorrebbe applicare la legge.
E chi vorrebbe applicare la legge ha difficoltà a restare unito, a dire con grande forza e perché tutti capiscano:
“Qualunque cosa succeda, dallo scioglimento del Parlamento all’avvitamento del nostro paese nella crisi, sarà colpa e solo colpa di chi vuole proteggere un pregiudicato”.
Se si discute, se ci si divide, se si cercano compromessi si va dove vogliono gli amici del pregiudicato.
“Ecco”, potranno dire gli amici del senatore condannato a 4 anni di reclusione, “vedete? Giudici e leggi non c’entrano, è solo una questione politica, i nostri nemici si dividono, la legge non è chiara, è una persecuzione contro il nostro capo”.
E raccogliere ancora voti in nome e per conto di chi ha frodato il fisco.
Che ha cioè frodato tutti noi, uno per uno, nessuno escluso.