Siamo ancora nella Prima Repubblica, quella nata nel 1948 e che negli ultimi vent’anni ha attraversato fasi politiche che ne hanno in parte snaturato la struttura lasciando però sostanzialmente intatto l’impianto generale. Quella che dovremmo costruire è la Seconda Repubblica, sperando che tenga per i prossimi 50-70 anni.
Allora non cominciamo dalla testa, consolidando ciò che è in gran parte all’origine dei mali dell’ultimo ventennio. Ha infatti ragione Guglielmo Epifani a dire che in Italia, tolto il Pd, ci sono solo partiti “personali” e che i “partiti personali sono per definizione partiti antidemocratici, che rispondono al capo, vivono del leader e muoiono con il leader”.
Quindi, per favore, non parliamo di elezione diretta del Capo dello Stato, di semipresidenzialismo alla francese. Forme di governo teoricamente di grande efficienza ma che, se si condivide l’analisi di Epifani, potrebbero agevolare la nascita o il consolidamento di “partiti personali” favorendo quindi la deriva antidemocratica cui fa indirettamente riferimento il segretario del Pd.
Parliamo invece di togliere al nostro sistema le rigidità imposte ai costituenti dalla situazione di allora, di rivedere le mille cautele istituzionali inserite in Costituzione per sbarrare la strada a qualunque totalitarismo di ritorno.
Per fare questo si possono scegliere diverse strade, ma ci sono tre o quattro cose che tutti dicono di voler fare ma nessuno ha mai fatto e che invece sarebbero solidi mattoni di una Seconda Repubblica. Eccone solo alcune, e non sono banalità.
Dimezzamento del numero dei parlamentari.
Eliminazione del bicameralismo perfetto (doppia approvazione delle leggi) e creazione di un Senato delle Regioni o comunque di un Senato che abbia competenza solo su materie specifiche.
Rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio.
Corsie privilegiate e veloci per i disegni di legge del governo.
Poi la riforma elettorale.
Una nuova legge è, in qualche modo, la premessa e la conclusione di un accordo sulle riforme istituzionali. Anche ai tempi della Bicamerale di D’Alema fu il vero nodo, sciolto il quale sembrò che tutto potesse andare a posto.
La legge elettorale che può dare vita alla Seconda Repubblica è, a mio avviso, quella capace di favorire l’aggregazione tra le forse politiche e facilitare l’individuazione del vincitore, di chi dovrà governare il paese.
Personalmente ho sempre pensato che le elezioni con il collegio uninominale a doppio turno siano la soluzione migliore. Ma altre ce ne sono che portano a risultati simili. Cioè alla scelta, chiara e univoca, della coalizione che esprimerà il capo del governo.
Quanto al presidente della Repubblica è bene che per il momento resti lì. Eletto dal più ampio schieramento possibile di grandi elettori (magari diversamente scelti) ma con una funzione di garanzia e di punto di equilibrio dell’intero sistema. Una funzione che mi sembra a tutt’oggi preziosa ed essenziale.