Per due giorni ho passeggiato tra i resti delle trincee della prima guerra mondiale, tra il Carso, il Sabotino e il Monte Santo. Nel guardare e toccare quei sassi (nella foto un tratto della trincea delle Frasche, sul Carso), nell'osservare i varchi attraverso i quali i cannoni sparavano, nel consultare cartine che spiegavano attacchi e ritirate non sono stato attratto dalla voglia di ricostruire battaglie o ricordare singoli episodi. Perché mentre ero lì, immerso in un silenzio profondo e denso, pensavo più alla strage di San Bernardino e a quella del Bataclan che alle stragi di fanti e bersaglieri.
Eppure della guerra di un secolo fa stavo avendo una percezione concreta, direi tattile. Potevo descrivere a me stesso l'orrore di allora, immaginare la terra insanguinata e il rombo delle artiglierie. Fu una guerra guerra. Tutti lo sapevano un secolo fa, tutti lo hanno saputo per i decenni successivi, tutti lo sapranno per i secoli a venire.
Poi sono arrivato al cippo Slataper, lungo la strada che sale sul Calvario-Podgora. Il piccolo monumento ricorda i due Slataper, padre e figlio, uno ucciso su quel piccolo monte nel 1915, l'altro ucciso in Russia nel 1943. Due storie individuali emblema delle sofferenze di due generazioni. Lì davanti sono rimasto più del necessario e dentro di me hanno iniziato a girare ancora più vorticosamente le immagini di queste ultime settimane.
Quella che stiamo vivendo sarà mai ricordata come una guerra guerra? Siamo davvero coscienti, tutti noi, che quello che sta accadendo non è una cosa "altra" rispetto alla nostra vita, al nostro presente e al nostro futuro?
Conservando i campi dove ci si uccideva un secolo fa, passeggiandovi, portandovi amici e scolaresche si coltiva la memoria. Ma coltivare la memoria senza trarne forza per capire il presente e agire di conseguenza è un esercizio sterile.
Quella che stiamo vivendo è una guerra vera, la nostra guerra. Una guerra senza fronti delineati e senza mappe militari. Una guerra che non si combatte solo con mitra e bombe, ma alla quale può partecipare ciascuno di noi senza bisogno di dare la vita come fecero gli Slataper.
Combattere, oggi, vuol dire non stare dalla parte di chi vuole radicalizzare il mondo, di chi vuol mettere i buoni (noi occidentali) da una parte e i cattivi (i musulmani senza molte distinzioni) dall'altra.
Combattere vuol dire sforzarsi di ragionare e capire. Cercare di condividere principi e valori con più gente possibile, senza distinzioni.
Combattere vuol dire togliere forza a chi vuole odio. Perché l'odio porta con sé la morte e coltivandolo si combatte al fianco dei nostri avversari, che l'odio alimentano giorno per giorno..