La lezione di Cesira

120729_DSC0612

Ho passato un pomeriggio a casa di Cesira Pardini (nella foto), la donna che sfuggì all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema salvando due sorelle e un bimbo appena nato. Le è stata da poco conferita, per quello che fece in quelle ore del 12 agosto 1944, la medaglia d’oro al merito civile.

Lei vive in una bella casa di Marina di Pietrasanta e ogni giorno, dalla finestra della camera da letto o dal giardino, guarda lassù, all’ossario di Sant’Anna, innalzato in memoria dei 560 che quel giorno vennero massacrati da soldati tedeschi. Per realizzare la statua alla base dell’ossario, una donna morta con in braccio una neonata, lo scultore Vincenzo Gasperetti si ispirò alla storia della mamma e della sorellina di Cesira, uccise dalle mitragliatrici.

Si entra in un altro mondo parlando con una donna così.

Non per quello che racconta, perché chi ha voluto ha gà letto tutto.

Ma per come lo racconta.

Per la calma dietro la quale ha imparato a mimetizzare un dolore mai sopito.

Per la commozione che emerge, composta, solo in alcuni, cruciali, momenti.

Per il pudore con cui ti accompagna là fuori, nel “punto da dove si vede lassù”.

Quando esci dal mondo di Cesira Pardini, nata a Pietrasanta il 4 dicembre 1926, guardi anche tu lassù e te ne resti zitto per un bel po’.

Pensi alle condanne dei nazisti responsabili dei massacri che nessuno cerca di eseguire. A una giustizia che in pochi hanno voluto davvero. A generazioni di italiani, compresa la mia, che hanno quasi rimosso senza trarre da quei fatti alcuna forza.

E così te ne torni a casa senza voglia di discutere e scrivere delle cose di tutti i giorni.

Exit mobile version