Si stringono i tempi sulle riforme del nostro impianto istituzionale: Senato e legge elettorale. E questa è una buona notizia.
Ma aumentano anche i dissensi sulla “non elettività” del Senato, la “fronda” trasversale, interna ai partiti, che vede sulla stessa, provvisoria sponda, tra gli altri, Vannino Chiti e Augusto Minzolini.
Io, in tutta sincerità e come ho già avuto modo di osservare, non capisco perché la “non elettività” stia diventando un barricata da difendere quasi a ogni costo. Per risparmiare? Per fare un taglio di costi chiaro e visibile da tutti? Può darsi. Ma ancora nessuno ha spiegato con adeguata chiarezza perché non possa essere seguita un’altra e, a mio avviso, più efficiente strada.
Oggi abbiamo 630 deputati e 315 senatori (più quelli a vita nominati dal presidente della Repubblica) per un totale di 945 parlamentari eletti. La proposta del governo Renzi, se dovesse essere approvata, lascerebbe i 630 deputati eletti direttamente a cui andrebbe aggiunto il centinaio di senatori senza indennità ed eletti da consigli comunali e regionali ma che sempre a degli uffici dovrebbero appoggiarsi per svolgere il loro lavoro.
Se noi immaginassimo un parlamento eletto direttamente e composto da 400 deputati e 100 senatori (non rieleggibili) avremmo un minor numero complessivo di parlamentari (130 in meno con conseguente, significativo risparmio) e una maggiore teorica efficienza di una Camera meno pletorica (cosa farebbero mai 400 deputati meno di di 630?) e di un Senato composto da senatori a tempo pieno.
Quanto ai poteri mi sembrano corretti quelli previsti dalla riforma governativa. Anche se cento senatori a tempo pieno e non rieleggibili potrebbero esercitare una incisiva funzione di controllo sugli atti governativi e avere forti poteri di inchiesta. Il che potrebbe non essere secondario in un sistema che sta prevedendo, come è giusto che sia, una legge elettorale che assegni a un’unica camera una maggioranza capace di esprimere un governo stabile e con maggiori poteri dell’attuale.