Ho letto e riletto il testo di riforma costituzionale approvato dal Senato.
Riga dopo riga ho percepito materialmente, toccandola quasi, la portata storica di quello che stavo leggendo. Se arriveranno alla loro approvazione definitiva quelle righe, quelle parole sanciranno davvero il passaggio dalla Repubblica nata nel 1946 (o nel 1948 se si vuole considerare l’entrata in vigore della Costituzione) a una Seconda Repubblica basata su un diverso Parlamento, un diverso sistema di formazione delle leggi, un diverso equilibrio tra i poteri dello Stato.
Nel testo finale ho ritrovato tutti quelli che, secondo me, sono difetti rilevanti del nuovo impianto e sui quali abbiamo più volte ragionato. Senza tornare sugli importanti dettagli possiamo riassumerli in un’unica generale considerazione: la Seconda Repubblica rischia di nascere senza quell’equilibrio tra poteri che è essenziale quando si da maggior forza al potere esecutivo.
Ma leggendo e rileggendo ho anche provato un brivido.
Riga dopo riga ripassavano nel retro del mio cervello le cronache di questi primi giorni di agosto, la battaglia al Senato, perché di vera battaglia si è trattato, per arrivare all’approvazione, gli insulti, i feriti. E vedevo il terribile contrasto tra la portata storica di quello che si andava discutendo e le ruvide modalità del confronto parlamentare.
Quando il ragionamento viene schiacciato dall’esigenza di ottenere comunque un risultato il rischio del clamoroso errore è elevato, molto elevato. Per questo il brivido, un brivido di paura.
Auguriamoci allora che questi giorni di pausa estiva servano a far riflettere i vincitori, a far analizzare meglio le ragioni di chi si è opposto e si oppone a molte parti di questa riforma. Per arrivare alla Camera dei deputati con quei significativi ritocchi che possono solo rafforzare le fondamenta di una Seconda Repubblica di cui abbiamo davvero bisogno.