La fotografia del corpicino senza vita di un bambino non andrebbe pubblicata. Per rispetto verso il piccolo essere umano che non c'è più, verso chi lo ha messo al mondo, verso tutti gli altri bambini, verso noi tutti.
Ma per il bimbo con la maglietta rossa della spiaggia di Bodrum è diverso.
Il quotidiano inglese The Independent l'ha pubblicata pensando soprattutto al premier David Cameron, per dire che non si può più far finta di niente, che è il momento di agire.
Noi che viviamo sul pezzo di terra europea che da più tempo e più di tutti è prima meta dei migranti ne abbiamo viste tante di immagini simili. Corpi messi in fila sulle spiagge di Sicilia. Corpi alla deriva. Corpi ammassati nelle stive. Non dovrebbe impressionarci la foto del bimbo dalla maglietta rossa.
Invece non riusciamo a staccare gli occhi dalla testolina riversa, dalle piccole braccia inerti, dalle scarpe piantate nella sabbia. Perché un bimbo che muore fuggendo dalla Siria per cercare di andare in Grecia, poi forse in Ungheria, in Germania, in Inghilterra è il simbolo di una guerra globale in cui non ci saranno mai vincitori.
E dire guerra globale vuol dire guerra in cui tutti devono fare la propria parte. La nostra, quella di ciascuno di noi, è capire per davvero che gli uomini e le donne che bussano alle nostre porte non sono estranei in arrivo da un altro pianeta. Sono vittime del mondo che noi stessi abbiamo contribuito a creare e a loro dobbiamo rispetto e affetto. Un'affermazione inutile e retorica? No, rivoluzionaria.