Da ieri è online un lavoro al quale, negli ultimi mesi, mi sono dedicato con una certa intensità. E’ un sito che vivrà sia di vita propria che all’interno dei siti dei giornali locali del gruppo Espresso e di quello del settimanale l’Espresso.
Il titolo è sufficientemente esplicativo: “La Grande Guerra, i diari raccontano”.
Grazie a un accordo tra il Gruppo Espresso e l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano abbiamo, Nicola Maranesi (un giovane e bravo giornalista) e io, letto i diari dell’archivio che si riferiscono alla Prima guerra mondiale e selezionato i brani più interessanti. Dopo la loro digitalizzazione li abbiamo catalogati, geolocalizzati, spiegati…
Ne è nato uno strumento che consente a ciascuno un viaggio davvero particolare nelle trincee di quella immane tragedia che fu la guerra 1914-1918, di cui quest’anno ricorre il centenario.
Anche per noi che vi abbiamo lavorato è stato un viaggio eccezionale.
Riprendere in mano, dopo cent’anni, pagine scritte nel fango o nei ripari della seconda linea. Riuscire quasi a vedere con i propri occhi le atrocità che vengono descritte con parole semplici e crude. Restare stupiti di fronte alla profonda sensibilità che l’uccidere e il veder morire non riesce a sopprimere. Leggere di un uomo fucilato perché aveva la pipa in bocca o di un capitano che uccide due suoi soldati che non vanno all’attacco.
Tutto questo ci ha restituito emozioni profonde che speriamo di essere riusciti a trasmettere.
Ma ci ha anche consentito di stabilire un rapporto diverso con la generazione che ha combattuto la 14-18, quella dei miei nonni e dei bisnonni di Nicola. Una generazione alla quale noi, nati nel secondo dopoguerra, abbiamo prestato poca attenzione umana. Era guerra vecchia, guerra d’altri tempi… Abbiamo sbagliato. Perché le guerre non sono mai vecchie, né di altri tempi. Sono solo da sempre e per sempre la cosa più terribile che l’uomo possa causare.
I racconti dei diaristi aiutano a non dimenticarlo, a imprimerselo bene nella mente, a rispettare tutti coloro che sono stati costretti a combatterle. E a fare quanto è in proprio potere perché di guerre, nel mondo, ce ne siano sempre di meno.