La Gestapo, quando aveva appena diciassette anni, gli aveva piantato un coltello nella lingua per farlo parlare. Ma lui non parlò.
Un cecchino lo colpì a un occhio, il proiettile uscì dalla bocca e nemmeno lui capì come fece a restare vivo.
Per quello che aveva fatto in montagna gli diedero una medaglia d'argento al valor militare. Ma lui la rifiutò dicendo: "Dovete darla a quelli che sono morti, non a me". E ogni 25 aprile andava lassù dove aveva combattuto e aveva visto morire i suoi compagni per portare dei fiori.
Quando finì la guerra andò, con un ammiraglio che era diventato partigiano, in mezzo al mare su una nave da battaglia. Insieme, lui partigiano e l'altro ammiraglio-partigiano, gettarono in acqua una corona di fiori per onorare la memoria del figlio dell'ammiraglio, ufficiale della Regia Marina affondato con il suo sottomarino.
E' anche per tutto questo che non bisogna dimenticare Filippo Augusto Carbone.