Ancora una riforma istituzionale. Questa volta partendo dalla testa, dall’elezione diretta del capo del governo. Detta così, in una sera di febbraio davanti a una telecamera. Come fosse facile come bere un caffè e come se si avesse la forza politica di condurre un’operazione così delicata e complessa.
Si fa quasi fatica a credere che davvero Matteo Renzi, ex segretario del Partito democratico, ex presidente del Consiglio e oggi senatore e capo di una nuova formazione politica chiamata Italia viva, abbia davvero detto una cosa del genere. Che si sia avventurato a disegnare una nuova Repubblica, la repubblica del sindaco d’Italia.
Ma il senatore Renzi se la ricorda la scoppola che ha preso quando ha chiesto agli italiani di approvare la “sua” riforma istituzionale? E si ricorda quanti e quali costituzionalisti smontarono pezzo per pezzo la sua costruzione di un nuovo Stato?
Ma il senatore Renzi legge i sondaggi che attribuiscono alla sua neonata formazione politica qualcosa come il 3 per cento dei consensi?
Ma come pensa il senatore Renzi, con queste premesse, di essere il credibile e autorevole promotore di un cambiamento così profondo?
Non serve entrare nel merito della sua, chiamiamola pure “proposta”. Non serve ragionare su cosa comporterebbe eleggere direttamente il “sindaco d’Italia” in un sistema che è essenzialmente parlamentare.
Questa volta è sufficiente dichiarare la proposta irricevibile per mancanza, da parte del suo autore, dei titoli necessari.
L’ultima, retorica domanda, è sempre la stessa.
Ma il senatore Renzi non aveva promesso agli italiani che, dopo la scoppola referendaria, si sarebbe ritirato dalla politica?