Un mese fa è andato online il sito “Grande Guerra, i diari raccontano”, di cui avevo parlato in questo post.
Da allora, all’indirizzo mail appositamente creato, sono arrivate numerose segnalazioni. Nipoti e pronipoti dei combattenti di un secolo fa hanno scritto di avere diari, foto, lettere conservate con cura negli anni e che adesso mettono volentieri a disposizione dell’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano e del gruppo Espresso. Insieme a tutte le altre che arriveranno verranno raccolte, vagliate, selezionate, pubblicate.
Non mi aspettavo una reazione così pronta e vasta e me ne sono chiesto la ragione. La risposta che mi sono dato non so se è quella corretta, ma vorrei provare a ragionarne insieme.
Inviare oggi a un archivio e a dei giornali un diario scritto in trincea cent’anni fa penso sia frutto di un bisogno che il nostro paese, nel suo oltre secolo e mezzo di vita, non è riuscito a soddisfare.
Quello, di ciascun cittadino, di avere una memoria comune a quella del vicino di casa, dell’amico, del conoscente. Il bisogno, cioè, di vedere le sofferenze e le gioie di chi ci ha preceduto far parte di un unico, riconosciuto e condiviso processo storico. Mandando anche una sola lettera di un nonno o bisnonno perché sia conservata e magari pubblicata è come si volesse dire: “Ecco anche lui che non è stato un eroe ma sicuramente ha sofferto fa parte della nostra storia, e per quella sofferenza gli dobbiamo, tutti, riconoscenza”.
E in questa direzione, quella di una memoria condivisa, va una recente iniziativa di cui ho dato notizia sull’Espresso di questa settimana. Uno storico magistrato militare, Sergio Dini, oggi sostituto alla procura ordinaria di Padova, ha scritto, insieme a due suoi colleghi, una lettera al ministro della Difesa che qui si può leggere integralmente. Il magistrato chiede che venga promulgato un “provvedimento clemenziale” in favore dei soldati che vennero fucilati nella Grande Guerra. Perché, spiega, “quelle fucilazioni, da un punto di vista strettamente utilitaristico ebbero un senso e contribuirono, in certo modo, alla vittoria finale”. In altre parole fanno anche loro parte di una memoria che deve essere condivisa.