Testimonianza del carabiniere Carmine Attilio Giardinelli
3° plotone, 2^ compagnia
Carmine Attilio Giardinelli è nato nel 1923 e partì per la Russia quando non aveva ancora compiuto vent’anni. Dopo la guerra ha continuato a fare il carabiniere diventando vice brigadiere. Della Russia Giardinelli ha ricordi precisi e drammatici. Il freddo, la fame, la paura di non tornare a casa. Per decenni ha fatto fatica a ricordare e raccontare tanto che suo figlio ha sempre saputo poco della campagna di Russia di suo padre. Per anni, dice Giardinelli, la Russia ha popolato le mie notti. Avevo incubi, mi svegliavo di soprassalto, mi tornavano alla mente le immagini di quei mesi. Poi il tempo ha sedimentato il dolore e Giardinelli ha cominciato a fissare in qualche appunto quel che ricordava dell’inverno 1942-43. Quello che segue è il testo di questi appunti integrato con la testimonianza raccolta nella sua casa di Chieti il 26 marzo 2006. L’incontro si è concluso con una sua breve frase: «Chi è tornato da quell’inferno ha avuto l’aiuto di qualche santo»
«Ai primi di agosto del 1942 venni destinato al XXVI Battaglione CCRR al centro di mobilitazione di Bologna, destinazione fronte Russo. Fummo addestrati al combattimento: una volta alla settimana marce forzate di 40 chilometri con l’equipaggiamento di guerra completo (circa 40 chili). addestramento al tiro presso il poligono. La caserma nel centro di Bologna era compostada varie camerate, per dormire vi erano teli da tenda pieni di paglia posati sul pavimento. Si dormiva praticamente per terra, il rancio veniva confezionato nelle cucine della suddetta caserma e veniva consumato nelle gavette della capacità di 2 litri circa ma che, però, non erano mai piene del tutto. In quella caserma siamo rimasti fino al 20 settembre del ‘42 (la data discorda da quella riportata nei documentiufficiali, 8 ottobre, ma Giardinelli è assolutamente sicuro dei suoi ricordi Ndr) quando fummo inquadrati con tutta l’attrezzatura necessaria per la campagna di guerra e, con la banda in testa alla colonna, arrivammo alla stazione ferroviaria di Bologna.
Arrivati alla stazione delle ragazze Giovani Fasciste ci distribuirono sigarette e altri generi come cioccolata e caramelle. Fummo alloggiati su carri bestiame sui quali vi era la scritta “cavalli otto uomini quaranta”. All’interno solo panche e una stufa a carbone. La notte del 20 settembre partimmo per raggiungere il fronte Russo. Il percorso che il treno seguì fu il seguente: Bologna-Verona-Bolzano (dove ci venne distribuita della frutta, soprattutto mele, e sigarette) e proseguimmo per il Brennero: la sera del 21 settembre lasciammo l’Italia e da li raggiungemmo Innsbruck. Da qui procedemmo per Vienna dove siamo rimasti fermi per un intera giornata. Il rancio giornaliero era composto da un pacco di gallette per militare e una scatola di 250 grammi di carne da dividere tra due militari. Dal momento in cui lasciammo l’Italia ogni qualvolta il treno si fermava l’ordine era che due militari armati si piazzassero ai due lati del carro per scongiurare un eventuale attacco dei partigiani. Da Vienna proseguimmo verso Praga, allora capitale della Cecoslovacchia, e da qui per Leopoli (29 settembre 1942). Lungo il tragitto le popolazioni ci venivano incontro per avere sigarette e altri generi in cambio di patate. Da Leopoli, dove restammo fermi un giorno, proseguimmo per Kiev dove arrivammo di notte. Il treno proseguì per attraversare il ponte del Dnieper ma dovette arrestarsi e tornare in stazione perché i partigiani avevano minato il ponte facendone saltare una parte. Rimanemmo fermi due giorni durante i quali i Tedeschi ripararono il ponte. La sera, verso le 22, proseguimmo per Karkov e da lì ancora per Kupiansk (la notte del 7 ottobre) dove il treno si fermò poiché la ferrovia terminava.
Siamo rimasti a Kupiansk accampati in una casa situata fuori dal paese e siamo stati impegnati nel sorvegliare un ponte ferroviario, anch’esso fatto saltare dai partigiani, e in seguito riparato dai Tedeschi.
Dopo circa 15 giorni siamo partiti per Starobelsk dove siamo stati impegnati per difendere le linee ferroviarie, stazioni e ponti della zona (alloggiammo nei carri ferroviari).
Io ho fatto servizio a un ponte della ferrovia vicino a Kupiansk, c’erano solo le rotaie, quando arrivava il treno bisognava attaccarsi a un pilone altrimenti si veniva schiacciati. Una volta di servizio sul ponte c’erano due carabinieri con il tenente Buffa. Il treno arrivò all’improvviso e Buffa urlò ai carabinieri di sdraiarsi sui binari. I due si allungarono lungo i binari e sono stati fortunati: la testa c’è passata giusto giusto e si sono salvati.
Una mattina, intorno al 20 di dicembre, fummo avvertiti da un nostro motociclista di rientrare subito a Starobelsk dove siamo stati due giorni. Il 23 dicembre siamo stati trasferiti su camion a Belowodsk da dove siamo stati portati al fronte che distava circa 30 Km. Qui abbiamo combattuto in prima linea in aperta campagna. La mattina del 26 il Carabiniere Santucci Luigi fu colpito alla testa da un proiettile e morì mentre il Sottotenente Ursini fu ferito ad una gamba. Portammo ikl corpo di Santucci al comando di battaglione a Belowodsk, lo mettemmo in una stanza, su un baldacchino e io gli feci la sentinella per tutta la notte e per il giorno dopo, poi è venuto a prenderlo la Croce rossa per portarlo al cimitero di Millerovo. Aveva ricevuto un colpo alla testa, a destra, subito sotto l’elmetto.
Lo stesso giorno occupammo il paese di Kuriatschiewka, le truppe tedesche combatterono sul lato destro del fronte in un settore separato da quello delle truppe italiane, i combattimenti in genere si svolgevano lungo le strade: nei paesi in aperta campagna non era possibile transitare o combattere perché c’era almeno un metro di neve.
In quella zona del fronte si faceva perlopiù guerra di trincea intervallata da qualche sporadico attacco. Durante la notte i Russi, con i mezzi corazzati, facevano delle puntate tornando velocemente indietro. Durante una di queste sortite venne falciato il plotone comandato dal maresciallo Attolini. La casa in cui si erano rifugiati venne colpita da una cannonata e tutti i carabinieri del plotone dovettero uscire allo scoperto. Vennero tutti uccisi a fucilate esclusi due carabinieri che vennero presi prigionieri. Un militare riuscì a fuggire mentre era in fila per essere fucilato e un altro carabiniere addetto al trasporto della canna della mitragliatrice modello Breda 37 tentò con successo la fuga facendo ritorno a piedi al comando del Battaglione e avvertendo così dell’accaduto.
Tra la fine di dicembre e i primi di gennaio ci portarono in un paese diviso in due, in una parte c’eravamo noi, in un’altra i russi. Eravamo bloccati da un mulino, perché si erano nascosti soldati russi che ci sparavano addosso. Così ci muovemmo con le racchette, io, il tenente Buffa e il carabiniere Emilio Diprizito di Fontanarosa, per vedere com’era la situazione, perché noi non ci potevamo muovere dalla nostra posizione. Alla fine della discesa cominciarono a sparare. Io dissi al tenente: «Qui signor tenente non combiniamo niente, con le nostre divise grigioverde ci vedono subito, andiamo incontro al macello, ci facciamo ammazzare senza concludere niente». Il tenente fu d’accordo, non c’era proprio niente da fare, così tornammo nel paese.
Io poi tornai indietro con il maresciallo Bonanno e il capitano. Poi fu Diprizito, che restò con il tenente e con gli altri, a raccontarmi quello che era successo. «Ce la siamo vista proprio brutta», mi disse, «siamo quasi finiti alla baionetta». Perché da quella collina, quella dietro il mulino, scendevano con le slitte in tanti (il riferimento è alla battaglia di Gamashewka, Ndr)
Nei primi di gennaio ci portarono a far servizio lungo una strada che andava verso il fronte per evitare che i russi piazzassero delle mine in modo da impedire il passaggio dei mezzi corazzati tedeschi. Questa strada si trovava nella zona neutrale del fronte: vi era un dosso dietro il quale vi erano i Russi. Il 6 gennaio il capitano Tommaso Masella, comandante della Compagnia, venne ad ispezionarci. Era una giornata di sole e guardando verso il dosso notai un oggetto scuro, a circa 200 metri da noi, che si muoveva. Spinto dalla curiosità percorsi carponi il fossato che fiancheggiava la strada aggirando l’oggetto scuro e scrutandolo con il binocolo: erano due graduati russi in tuta mimetica invernale che ci stavano spiando. Intimai loro la resa e li condussi prigionieri dal capitano. Quando, con i prigionieri, raggiunsi il capitano i Tedeschi pretendevano che i prigionieri gli fossero consegnati. Per poco non si venne alle armi: il capitano fece salire sul camion che era li presente i due prigionieri e due Carabinieri di scorta. In questa occasione il capitano Masella prese gli appunti del caso per fare una proposta di ricompensa al sottoscritto.
Da qui, verso il 7-8 gennaio del 1943, partimmo verso un altro paese rimanendo sempre in prima linea dove c’erano anche i Tedeschi. Il nostro compito era quello di sentinelle. Il servizio, per potersi difendere dal freddo, era organizzato in un ora di guardia e un’ora di riposo in un’abitazione. Espletammo questo incarico fino alla data del 17 gennaio del 1943. La mattina del 17 i Tedeschi cominciarono a ritirarsi, noi siamo rimasti a presidiare il paese fino alla sera, alle 22.
Nel pomeriggio i russi cominciarono a sparare e alle ore 22 del 17 arrivò un camion, uno SPA38, per portarci via. Senonché il camion si fermò, non ne voleva sapere di ripartire. I Russi facevano un fuoco continuo, i nostri militari tentavano di far ripartire il camion spingendolo, io e il carabiniere Emilio Di Prizito, con le armi in dotazione, un fucile mitragliatore e un Parabellum requisito ai Russi, rispondevamo al fuoco nemico per far credere ai Russi che nel paese vi era ancora resistenza. Il camion si mise in moto e ripartimmo alla volta del Comando Battaglione.
Arrivati a Belowodsk con lo stesso camion ripartimmo.alla volta di Starobelsk ma il camion si fermò nuovamente lasciandoci appiedati. Da qui fummo costretti a marciare verso Kupiansk e, quindi, verso Karkov. Da qui, sempre a piedi, ci dirigemmo verso Haktirk, Romn e via via tutti i paesi fino a Gomel dove fummo impegnati nello scovare gruppi di partigiani nascosti in un bosco vicino. Da qui verso Klinzi punto di raccolta delle truppe italiane in ritirata. Il vitto ci veniva offerto dalle famiglie russe che ci ospitavano la sera nei villaggi. Durante la ritirata a piedi incontrammo il Generale Comandante delle Forze italiane in Russia Gariboldi che ci salutò e ci raccomandò di marciare inquadrati durante la ritirata. Tutti i giorni nevicava e le bufere di neve ci coglievano impreparati rendendo la marcia difficoltosa: il più delle volte la neve arrivava fino al ginocchio.
A Klinzi rimanemmo circa due mesi prima di ritornare nuovamente a Gomel dove prendemmo il treno per Minsk e, finalmente quello per l’Italia.
Giungemmo a Tarvisio, dove facemmo il campo contumaciale, e poi andammo a Bologna al centro di mobilitazione. Venni destinato alla legione di Ancona la quale legione mi destinò a Pescara dove rimasi circa un mese e mezzo. In seguito fui mobilitato e trasferito nuovamente ad Ancona nel Nucleo Difesa Costiera durante questo incarico mi ammalai di paratifo e fui ricoverato all’ospedale Piazza d’Armi dal mese di agosto fino a novembre. Trascorsi poi la convalescenza a Chieti. Nel giugno del 1944 mi ripresentai al Comando, fui destinato dapprima a Teramo e poi a Livorno per prestare servizio di vigilanza, assieme agli Americani, agli oleodotti che dal porto di Livorno arrivavano fino al fronte.
L’equipaggiamento
L’equipaggiamento con cui venimmo mandati in Russia era costituito da scarpe militari inadeguate al clima russo sopra alle quali erano avvolte fasce di colore grigio-verde che arrivavano fin sotto al ginocchio. L’unico indumento valido era il cappotto foderato di pelliccia. Eravamo male armati, avevamo i moschetti 91/38 a ripetizione con baionetta, eravamo sprovvisti di pistola che veniva data in dotazione solo a coloro che adoperavano armi automatiche.
Spesso le armi si inceppavano perché il grasso che le avrebbe dovute lubrificare si ghiacciava rendendole,. dopo il primo colpo, inservibili.
I caduti
Il primo caduto del battaglione fu il carabiniere Santucci. Poi il maresciallo Attolini con i suoi uomini. In tutto penso che morirono 34-35 carabinieri anche se so che nelle carte ufficiali ne sono indicati molti di meno (i caduti “ufficiali” sono 12 Ndr). Penso che questo sia dovuto alla grande confusione della ritirata. Nessuno, forse, saprà mai quanti furono esattamente i carabinieri del XXVI battaglione a restare in terra di Russia.
La partita di calcio
A Klinzy venne organizzata una partita di calcio: alpini italiani contro tedeschi. Fu una partita talmente accesa che finì a bastonate: ce le presero i tedeschi, persino un loro generale finì nella mischia e prese qualche colpo».
Anche mio padre ha fatto la campagna di Russia dal 10/07/41 al 27/03/43
nel 829 ospedale da campo tornato e andato nel campo
contumaciale di Bologna (109) dal 29/03/43 al 11/04/43 morto poi nel
1963 non ha mai raccontato la sua vita in Russia…
Peccato, sicuramente avrà tanto sofferto
Alessandro Agnoletto