Roma, via Po 12, primi anni Ottanta, stanza del direttore del settimanale L’Espresso. È un lunedì ed è in corso la riunione di redazione per impostare il giornale.
Pubblico oggi questa foto di Nicola Sansone (Archivio L’Espresso) perché, lo dico per chi non lo sapesse già, L’Espresso è stato venduto a una società che si chiama BFC Media e perché proprio per questo il suo direttore Marco Damilano si è dimesso con un editoriale che potete leggere qui https://bit.ly/Damilano2022.
La foto è degli anni della strage di Bologna e della loggia massonica P2, del dopo sequestro Moro e della sconfitta delle Brigate rosse. L’Espresso era lì, settimana dopo settimana, a raccontare quello che accadeva, spesso prima e meglio di altri. Il venerdì, appena chiuso il giornale, si facevano i lanci alle agenzie degli articoli importanti, quelli con le notizie esclusive, con gli scoop. Il sabato i quotidiani davano grande rilievo a queste anticipazioni.
Io ero entrato in via Po 12 ad appena 23 anni: ero praticante al Secolo XIX e fu Giancesare Flesca a chiamarmi nel tempio del giornalismo. All’inizio mi aggiravo per quelle stanze senza capire bene dove mi trovassi e, soprattutto, senza cogliere fino in fondo, come spesso capita a un giovane, la fortuna che la vita mi aveva riservato. Per i corridoi incontravi Alberto Moravia, salutavi Umberto Eco, scambiavi due parole con Antonio Cederna, vedevi passare Bruno Zevi. E ammiravi quelli che erano diventati tuoi colleghi ragionare, intorno al tavolo di questa fotografia, sui grandi fatti del momento con una competenza e una profondità che ti sbalordivano. Poi, poco a poco, anche un ragazzo come me si sentì parte di quel mondo, ne metabolizzò i geni, ne assorbì il linguaggio, qualche modo di fare, quella punta di snobismo professionale che quando andavi in giro e dicevi “sono dell’Espresso” ti apriva quasi tutte le porte e ti faceva sentire un po’ diverso dagli altri, uno di quelli che deve raccontare come sono andate davvero le cose, non come appaiono.
Ma soprattutto ti sentivi libero e determinante.
Io sentii di essere davvero libero quando, a 24 anni, chiesi al direttore Livio Zanetti di poter lavorare per due-tre settimane sull’omicidio del giudice Vittorio Occorsio. Lui, senza darmi direttive particolari, mi disse di muovermi come ritenevo opportuno.
Determinante, ovviamente, non mi ci sono mai sentito. Non personalmente, intendo. Ma che via Po 12 fosse determinante sì, questo lo avvertivi quasi ogni settimana perché era un giornale protagonista, sempre al centro di quello che accadeva, mai ai margini. Direi un giornale in prima linea quando in prima linea non ce ne erano molti.
Dalle stanze di via Po, nacque la Repubblica di Eugenio Scalfari e, grazie all’editore Carlo Caracciolo e all’intuito professionale di Mario Lenzi, i geni e lo spirito si diffusero in una catena di diciotto giornali locali.
Oggi il gruppo editoriale che era chiamato “Gruppo editoriale L’Espresso” si chiama “Gedi Gruppo editoriale”, comprende anche La Stampa e il Secolo XIX, è controllato da Exor, la società degli Agnelli, ha venduto la metà dei giornali locali e adesso anche il settimanale da cui tutto è nato.
Ineluttabilità del profondo cambiamento che sta attraversando il mondo dell’editoria? Può darsi. Necessità di concentrarsi sulle attività ritenute più promettenti? Può darsi.
Ma può darsi anche che si sia arrivati a questo punto per non essersi voluti misurati sino in fondo con la “trasformazione digitale” dell’informazione locale e per non aver cercato la strada per alimentare, anche nel ventunesimo secolo, un moderno sistema informativo di prima linea non soltanto quotidiano.
Per questo ho voluto pubblicare questa foto. Non per nostalgia del passato o per dire quanto eravamo bravi. Ma per dire che le cose sarebbero potute andare diversamente. E meglio, decisamente meglio.
Nella foto. In primo piano, a destra, con gli occhiali, il direttore Livio Zanetti che guarda il condirettore Nello Ajello. In senso orario intorno al tavolo: il capo redattore Enrico Rossetti, Sandro Magister, Paolo Pernici, Paola Pilati, Pietro Calderoni, Maurizio De Luca, Salvatore Gatti, Alberto Statera. Poi da destra a sinistra. Pier Vittorio Buffa (in piedi), Roberto Fabiani, Flaminia Terenzi e Franca De Bartolomeis (seduti), Enzo Golino, Pierluigi Ficoneri, Alberto Dentice, Elsa Citeroni, Franco Originario, Rita Tripodi, Luciano Filippi.
Grazie caro Vittorio! Concordo pienamente con la tua analisi e anche con le motivazioni che hanno spinto Marco a dimettersi.
Ricordo con nostalgia quelle riunioni. Purtroppo molti dei colleghi presenti in questa foto non ci sono più da tempo. Ed è molto triste constatare che anche lo spirito battagliero, irriverente e anti conformista che animava ed ha animato anche in questi ultimi anni L’Espresso, non sia più considerato un valore dal gruppo Gedi. Che quindi ha pensato di recidere alla radice l’albero da cui è nata anche Repubblica, come a sbarazzarsi di una eredità scomoda.
Grazie a te Alberto, è davvero una decisione scellerata