Settantanove anni fa i carri armati russi, allora sovietici, avanzavano nel Donbass (nella mappa dello Stato Maggiore italiano le direttrici di attacco delle operazioni Saturno e Piccolo Saturno). Nel nord della regione, nella parte del Donbass ancora formalmente ucraina, per capirsi, avevano inseguito dalla fine del dicembre 1942, dal Don, le divisioni italiane in disfatta. Ravenna, Cosseria, Torino… nomi di grandi unità italiane travolte dall’avanzata dei possenti carri T34 e che vennero distrutte, che persero, nella ritirata in mezzo alla neve e con temperature di 30-40 gradi sottozero, migliaia di uomini. Una cittadina proprio al confine tra Russia e Ucraina, Cherkovo, venne chiamata Valle della morte per quanti furono gli italiani che vi morirono.
Il febbraio del 1943 fu l’inizio della lunga marcia delle forze armate sovietiche verso Berlino: la battaglia di Stalingrado si era conclusa il 2 febbraio e alla fine di gennaio, il 26, a Nikolaevka, gli alpini della Tridentina avevano guidato una lunga colonna di soldati in rotta fuori dall’accerchiamento.
Allora i carri armati di Mosca stavano difendendo il suolo patrio dall’invasione, violenta e spietata, voluta da Hitler e alla quale si era poi accodato Mussolini: la parte occidentale del paese era devastata, i morti si contavano a milioni.
Adesso non ci sono stati i nazisti alle porte di Leningrado e di Mosca, a Stalingrado, non c’è un dittatore da eliminare, non ci sono milioni di morti da vendicare.
Per questo le notizie di questa mattina sembrano quasi fuori dalla storia, un copione di violenza e sopruso a ruoli invertiti. Putin non sta liberando il proprio paese dall’invasore, sta invadendo un paese indipendente. Insomma, prima Napoleone e Hitler, adesso Putin.