Al Festival internazionale del giornalismo di Perugia, la scorsa settimana, si è parlato, come sempre, di tante, tantissime cose. Tre le voglio condividere su questo blog perché sono di interesse davvero generale e hanno un forte denominatore comune. Condividere senza tanti commenti, perché non servono.
Due sono Storie molte note: il caso Regeni e il caso Cucchi. Il pubblico ha ascoltato, applaudito, quasi fisicamente abbracciato i genitori di Giulio e la sorella di Stefano con applausi dal ritmo intenso, affettuoso, appassionato. Tutti dovrebbero avere la possibilità di stare a pochi metri dai genitori che hanno visto un figlio ucciso perché faceva il proprio lavoro o dalla donna che ha avuto il coraggio di esporre il corpo martoriato del fratello per avere giustizia. Le loro parole sono semplici, dirette, vanno al nocciolo del problema. Fanno capire come una società civile non possa mai smettere di pretendere giustizia, esigere verità, chiedere il rispetto delle leggi e della persona umana.
La terza è una Storia di identica gravità, ma meno nota e della quale, proprio per questo, bisogna parlare. E' un'altra drammatica Storia in cui non c'è verità, non c'è giustizia, non c'è rispetto. E c'è una sostanziale inazione del governo italiano.
E' la Storia di Andrea Rocchelli, fotografo di 31 anni ucciso in Ucraina il 24 maggio 2014 insieme ad Andrei Mironov. Tre anni dopo non si sa chi lo ha ucciso e perché. L'inchiesta è piena di omissioni e falsità. L'oblìo era sembrato scendere su una vicenda in cui, ancora una volta, sono in gioco principi essenziali. L'incontro con i suoi genitori e con William Roguelon, il fotografo francese testimone diretto e mai ascoltato del duplice omicidio, si è concluso anch'esso con applausi dal ritmo intenso, affettuoso, appassionato. E ha avuto, dichiaratamente, un obiettivo preciso. Spingere il governo italiano a "riaccendere i riflettori", a pretendere risposte dall'Ucraina.
Qui sotto i filmati dei tre incontri di Perugia, per stare a pochi metri dai genitori, dalla sorella, dal testimone. E fare anche noi il nostro applauso, accendere i nostri riflettori.