Per la prima volta nella vita mi è capitata una cosa terribile ed eccezionale. Assistere a quello che è successo nel cuore dell'Europa a 13000 chilometri di distanza, dall'altra parte del mondo e senza efficienti strumenti di comunicazione.
Terribile perché la lontananza ti trasmette un senso di impotenza. Non perché se fossi stato a Roma avrei potuto fare qualcosa. Ma perché sembra di essere fuori dal tuo mondo. Senza possibilità di essere vicino a chi si trova direttamente coinvolto. Senza poter condividere un momento così cruciale con le persone con le quali, fino a oggi, hai condiviso tutto.
Eccezionale perché sapere di bombe e kamikaze mentre ti trovi immerso in una natura che vive solo per se stessa provi un senso di sgomento mai provato prima. Perché capisci, con la forza che il contrasto tra la morte e la vita che qui scorre placida ti da, che c'è una guerra in corso.
Così ti viene una gran voglia di restartene lontano. Voglia subito scacciata dalla consapevolezza che il tuo mondo è quello di Bruxelles, dell'Europa, e che è lì che devi vivere la tua vita, non ne puoi e non ne devi fuggire. Perché quando c'è una guerra che coinvolge il tuo mondo, il tuo paese non si fugge. E questa è proprio una guerra che riguarda ciascuno di noi.