L'ultimo fine settimana è stato il fine settimana del premio Pieve-Saverio Tutino. Un premio particolare, indetto dall'Archivio diaristico nazionale, assegnato al diario di un italiano, un diario scelto la mattina della domenica tra gli otto selezionati da una appassionata giuria tra i più di cento che vengono spediti ogni anno nella cittadina toscana per partecipare.
Quest'anno ha vinto un diario scritto da un ragazzo morto a 21 anni, nel 1918, dopo aver respirato gas asfissianti sul fronte dell'Isonzo. Si chiamava Giuseppe Salvemini e le sue parole sono state fatte riemergere dalle stanze di famiglia da una nipote.
Ma diari e memorie non vuol dire solo riportare a noi un passato lontano, cosa che, da sola, ha giù un valore straordinario.
Diari e memorie, a Pieve, vuol dire anche parlare dell'oggi con pacatezza e profondità, dando spazio di riflessione a esperienze altrimenti destinate a passare davanti a noi senza lasciare traccia.
Tra i diari finalisti c'era quello di un chirurgo italiano nemmeno quarantenne, Giuseppe Novelli, che l'anno scorso è stato per un mese in Burundi. Laggiù ha tagliato, cucito, salvato vite cacciando dentro di sé la disperazione che lo assaliva nel vedere quello che vedeva. Ha scritto, dice, come per sopravvivere.
E c'era quello di una ragazza sedicenne, Caterina Minni, che ha combattuto contro l'anoressia e lo racconta con parole semplici e dirette come quelle che si sanno scrivere solo quando si è sinceri soprattutto con se stessi.
Due giorni prima, nella piazzetta accanto a quella, grande, della giornata domenicale, è stato assegnato un altro premio a un giornalista trentunenne, Nicolò Giraldi, il premio Tutino giornalista. Cosa ha fatto Giraldi per meritare questo riconoscimento? Se ne è partito a piedi da Londra per arrivare a Trieste percorrendo tutta la linea del fronte della Grande Guerra. Per vedere, ascoltare e raccontare cosa è rimasto nelle persone di oggi quello che accadde un secolo fa.
A far diventare tutto questo un evento "particolare" e "unico" è la voglia di partecipare e ascoltare delle centinaia di persone presenti. Era tempo che non mi capitava di vedere folte platee ascoltare in silenzio appassionato, e per ore, piccole storie individuali. Una capacità di ascolto e partecipazione che è una potente lezione di convivenza e civiltà.